Violenza verso personale scolastico e sanitario

La nuova normativa (legge 25/2024) promossa dalla Lega inasprisce le pene per atti violenti contro il personale della scuola, ma non sembra aver avuto effetti positivi.

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Nell’anno scolastico 2017-2018, una attendibile rivista si era inventata un truce “contatore”, in cui venivano inseriti tutti gli atti di violenza compiuti nelle scuole a danno degli insegnanti. Sappiamo bene che gli atti di violenza all’interno delle mura scolastiche non conoscono confini: studente contro studente, studente contro insegnante, insegnante contro studente, genitori contro insegnanti e personale della scuola e via discorrendo, sino ad esaurire tutte le combinazioni possibili. In ogni caso, qui ci concentriamo sui docenti, senza dimenticare  che nella scuola la lotta, tra tutte le componenti, è continua da anni. Bene, tra settembre 2017 e giugno 2018 gli atti gravi contro i docenti furono trentasei. Le cose non cambiarono nell’anno scolastico successivo, né erano migliori nell’anno precedente. Insomma, la sicurezza dei docenti è piuttosto minacciata nel luogo di lavoro da tempo.

   Quando, all’inizio del 2020, il lockdown a causa della pandemia da covid comportò la chiusura delle scuole, improvvisamente sorse un mito: quello delle scuole come luogo di socializzazione pacifica e importante. Beninteso: ogni generalizzazione è contestabile, e sappiamo che non tutti gli studenti o i genitori sognano di poter malmenare un docente. Ma  il problema della violenza nelle scuole è serio; negarlo è pura mistificazione.  Tra il 1° gennaio 2023 e febbraio 2024, sono stati registrati addirittura 133 casi di aggressione fisica denunciati all’interno delle scuole medie superiori, 70 compiuti da studenti e i restanti da genitori. In tutti questi  casi, gli insegnanti coinvolti hanno dovuto recarsi in ospedale per ricevere cure. Al di là dei docenti che finiscono al pronto soccorso ci sono infiniti casi sommersi, che magari non arrivano alla violenza fisica ma si fermano a quella verbale, agli insulti e all’umiliazione di quello che un tempo era un’autorità riconosciuta e rispettata. L’ultimo caso in ordine di tempo che è arrivato sulle pagine dei giornale, riguarda un insegnante di Storia dell’Arte di Abbiategrasso, al suo primo giorno in quella scuola. Riportiamo le sue parole: … un alunno è rimasto fuori e la collega di sostegno è andata a chiamarlo. Nel frattempo un altro allievo ha acceso la musica sul telefonino. Gli ho chiesto di spegnere e lui mi ha offeso verbalmente, fingeva di spegnerla per poi riaccenderla. Mentre parlavo con lui, il ragazzo che era rimasto fuori si è messo alle mie spalle e ha cominciato a insultarmi: “Chi ca… sei tu per dirgli di spegnere?”. L’ho invitato più volte a sedersi, poi, dato che si rifiutava, gli ho intimato di seguirmi in vicepresidenza“. “Mentre ci avviamo all’ufficio lui continuava a insultare. Un collega mi ha detto: “Non lo affrontare così, non sai la sua storia pregressa”. Per allentare la tensione ho detto al giovane: “Non è successo niente, ora sistemiamo tutto”. E invece quando mi sono voltato mi ha fatto cadere e mi ha preso a calci, uno mi ha rotto il naso. Sono arrivati i carabinieri, l’ambulanza, il preside Michele Raffaeli”.

    Le nostre conclusioni, di fronte ad un caso come questo, sono che a nulla è valso inasprire le pene contro chi fa violenza al personale della scuola. La nuova normativa (LEGGE 4 marzo 2024 , n. 25) promossa dal deputato della Lega Rossano Sasso, inasprisce le pene per atti violenti contro il personale della scuola, ma non sembra aver avuto effetti positivi.  Ancora una volta le soluzioni semplicistiche proposte da chi ci governa non incidono su una realtà complessa, intricata, dominata da disagi individuali e collettivi. Non si può chiedere ai docenti, però, di andar troppo al di là del proprio compito: la frase rivelatoria del professore di Abbiategrasso, che si sente ricordare dal collega di aver un comportamento più cauto nei confronti dello studente (“Non lo affrontare così, non sai la sua storia pregressa”) ci dice molto su questo episodio.

Chi arriva in una scuola nuova e crede di poter entrare in classe e fare il proprio lavoro, oggi come oggi si sbaglia spesso di grosso. Più che ad insegnare il docente è chiamato a “tenere la classe” brutta espressione che fa della classe un cavallo bizzoso ma che corrisponde  allo stato di fatto. L’ingovernabilità di un gruppo di adolescenti riuniti in un’aula non si contrasta con la minaccia di pene esemplari né con nuove e miracolose metodologia didattiche né con l’oppio dell’informatizzazione. L’unico mezzo di contrasto efficace è il dialogo continuo che costruisce fiducia tra chi insegna e chi impara. Per praticare il dialogo ci vuole tempo,tranquillità, sicurezza, da parte degli adulti, di svolgere un’azione socialmente preziosa. Il declassamento del ceto docente italiano a tecnocrati dell’educazione, la loro riduzione a burocrati che compilano fantomatici piani di recupero per studenti svantaggiati, e peggio a lavoratori precari (almeno un quarto della categoria lo è) che vengono paracadutati (senza paracadute) in classi difficili spiegano come mai le reazioni degli studenti possano essere  violente. Quella donna o quell’uomo che sta dietro la cattedra per loro non significa  nulla; e non sono servite le grida di Valditara per appianare un situazione sempre più difficile. La persona che sta dietro la cattedra vale poco, per questa società; viene pagata quattro soldi e poi, pur essendo un fallito (l’opinione comune è che, se si guadagna poco si vale poco),  vuole pre insegnare agli altri a vivere. Questo il retropensiero sul ceto docente di una parte di studenti e genitori.

   Per intaccarlo ci sono due strade: la prima sarebbe semplice e cioè ridare dignità economica al mestiere complesso dell’insegnare. La seconda, più complicata, è quella più importante: puntare, soprattutto nelle scuole difficili, a lavorare sul dialogo. Il che significa mettere al bando la scorciatoia illusoria della tecnologia applicata alla didattica e lavorare per piccoli gruppi, in cui la circolarità del discorso sia garantita.

   Aumentare le pene per chi malmena un insegnante ha avuto e avrà lo stesso effetto dell’aumento di pene per chi fa violenza al personale sanitario. Lo scorso anno il governo era intervenuto aumentando le pene per le violenze contro i sanitari (articolo 583 quater codice penale) aggiungendo successivamente anche la procedibilità d’ufficio; i posti di polizia negli ospedali nell’ultimo anno, sono passati da 120 a 196 mentre i poliziotti sono passati da 299 a 432. Quest’anno, però, ad inizio ottobre, è entrato in vigore un nuovo decreto legge che prevede pene più pesanti. Evidentemente il primo intervento è stato inefficace. È facile profezia che lo sarà anche il secondo: le malattie non si curano annullando i sintomi ma individuandone le cause.

     La violenza contro chi dovrebbe avere cura di altri – personale sanitario o scolastico che sia – è un sintomo preciso. La febbre è alta: per farla scendere bisogna dare ai lavoratori di questi due settori maggiore dignità economica e migliori condizioni di lavoro. Se il governo in carica, però, preferisce spendere soldi in armamenti o in presunte e fantasmatiche “grandi opere” piuttosto che nella scuola e nella sanità non ci racconti la favola che un aumento delle pene detentive per gli aggressori migliorerà la situazione del personale.

 

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