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UN'ANALISI DEL REPORT DRAGHI

Il professor Marco Veronese Passarella, economista dell'Università de L'Aquila, analizza il piano presentato dall'ex presidente della BCE Mario Draghi il 09 settembre 2024 alla Commissione Europea.

Il 9 settembre Mario Draghi, ex presidente della Banca Centrale Europea, ha presentato alla Commissione Europea un report sul futuro della competitività europea. Suddiviso in due parti, di quasi 400 pagine, l’analisi di fondo è abbastanza chiara: in sostanza l’Europa deve recuperare il gap economico creatosi con USA e Cina e per farlo è necessario aumentare produttività, crescita e innovazione.

Per raggiungere questo obiettivo, l’ex presidente del Consiglio italiano propone di mettere in campo una “potenza di fuoco” di risorse – da finanziarsi con l’emissione di titoli di debito comune – pari all’importo di due piani Marshall: circa 800 miliardi di Euro.

La proposta ha generato le reazioni più disparate e tra i commentatori c’è chi si è spinto a sostenere che Draghi sarebbe giunto al punto di “smentire se stesso”, esponendo un lucido atto di accusa alle politiche neo-liberali e di austerità – da lui sostenute nella famigerata lettera Trichet-Draghi del 2011 – imposte dalle istituzioni europee negli ultimi decenni.

 

Eppure, lo stesso Draghi già in passato si era spinto – in un articolo sul Financial Times – a distinguere tra un debito “buono” ed uno “cattivo” tanto più se l’aumento dell’indebitamento pubblico avveniva in un contesto di crisi economica generalizzata, come è stata quella legata alla diffusione del Covid, con il fine di salvaguardare i bilanci di quelle imprese capitalistiche (industriali/bancarie/pubbliche/private) troppo grandi per fallire.

Dunque, a una analisi più attenta, il contenuto del report non può essere considerato come un “fulmine a ciel sereno”, tanto più se lo leggessimo in relazione alle discussioni – svoltesi in sede europea – che portarono, oltre alla temporanea sospensione dei vincoli di bilancio, il varo del “Next Generation Eu” (di cui il PNRR è stata la declinazione italiana) del valore complessivo di circa 750 miliardi di euro.

Nonostante la recente rielezione di Ursula Von der Leyen, sostenuta da una larga maggioranza di popolari-socialisti e liberali, è necessario a nostro avviso iniziare a chiederci se, a fronte degli ultimi avvenimenti (pandemia e Guerra in Ucraina in primis), non ci sia qualcuno tra i tecnocrati europei – di cui Draghi è sicuramente uno degli esponenti più capaci – che si stia ponendo il problema di archiviare, sia pure parzialmente, i dogmi austeritari e l’impianto disfunzionale dei trattati europei.

 

A ogni modo, quello che notavamo in relazione al PNRR lo possiamo ribadire ulteriormente anche per quanto riguarda il “Report Draghi”: in quattrocento pagine, neanche una parola viene spesa per indicare misure sociali o di sostegno al lavoro; ma, al contrario, assumono un ruolo di rilievo la difesa comune e la spesa in armamenti.

Inoltre, non vi è nessuna critica alle strutturali differenze che l’Europa vive nella sfera della produzione e del lavoro, né in merito alla necessaria iniziativa delle parti sociali per evitare che la spartizione delle risorse finisca per acuire ancora di più la forbice tra redditi da lavoro e da capitale.

Una proposta di rilancio della crescita economica non può non tener conto della persistente esistenza di una pensante differenziazione in merito alle normative sociali del lavoro e ai sistemi di welfare.

 

Per approfondire questi argomenti, abbiamo chiamato Marco Veronese Passarella – docente di economia presso l’Università dell’Aquila, a cui rivolgeremo alcune domande:

  • Quali sono, secondo te, gli aspetti o i punti essenziali del report Draghi?
  • Secondo te, le parole di Draghi potranno avere un effetto reale nella messa in discussione dell’impianto economico ed istituzione dell’Unione Europea così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi?