L’Ufficio scolastico regionale del Lazio ha sospeso per tre mesi dall’insegnamento il docente e scrittore Christian Raimo. Questa è la durissima sanzione comminata per punirlo del fatto di aver osato criticare, nel corso della Festa nazionale di AVS, l’operato del ministro Valditara. Christian Raimo non è un anonimo docente ma un intellettuale conosciuto, che ha immediatamente ricevuto la solidarietà di altri intellettuali e che, nonostante il clamore che l’intenzione di sanzionarlo aveva destato, è stato esemplarmente condannato in sede amministrativa.
La gravità del fatto è enorme: si colpisce Raimo per opinioni espresse in qualità di cittadino, lontano dal luogo di lavoro, nel corso di un incontro di natura politica. Cosa gli si vuol far pagare, il fatto di dare un giudizio negativo sull’operato di un ministro? Questi, a ben vedere, più che essere paragonato alla “Morte Nera” di Star Wars, come gentilmente ha fatto Raimo, dovrebbe essere paragonato, nei suoi momenti migliori, all’asino di Buridano, sempre indeciso se umiliare gli studenti o comprenderli, digitalizzare la scuola o vietare i cellulari, promuovere l’insegnamento dell’educazione civica o andare a manifestare, lui ministro, contro i magistrati che stanno giudicando il suo sodale Salvini.
Dobbiamo aggiungere che ciò che è accaduto a Raimo accade, nelle nostre scuole, a molti lavoratori che, non essendo personaggi noti, subiscono il giro di vite disciplinare di cui questo governo sembra andare orgoglioso. Quelle vicende si consumano nell’ombra, molto spesso nella difficoltà di difendersi dall’ingiustizia subita, in un clima in cui il dissenso dalla linea ufficiale, di cui si fa portatore spesso e volentieri il capo d’istituto, è, di per sé colpevole.
Al caso Raimo infatti si può accostare un episodio recente: una docente ha pubblicato un post su Facebook lunedì 4 novembre, in occasione dell’esibizione delle Frecce tricolori. Pare che il commento della professoressa non fosse il solo; parecchi residenti nel centro storico di Venezia si lagnavano per il frastuono provocato dalle prove e dall’esibizione degli aerei. Il commento della docente è stato icastico: “Frecce tricolori di m….” Immediata la reazione della dirigente scolastica del Liceo “Foscarini” professoressa Alessandra Artusi che dichiara: “Me ne sto occupando da stamane, è un fatto molto grave e insensato […] Da oggi sto compiendo le verifiche per quanto di mia competenza e non è escluso che possano essere presi provvedimenti disciplinari”. Dove stia la gravità e l’insensatezza varrebbe la pena di spiegarlo, ma tant’è. La replica della professoressa “incriminata” non tarda: “il post, scritto in un momento di stizza, si riferiva unicamente alle frecce tricolori che sono super inquinanti, rumorose e pericolose […] mia mamma è cardiopatica e, come me, si è spaventata. Un rumore assordante che ha fatto tremare le finestre senza contare che l’aereo volava basso”. E si domanda “Viviamo in un regime o cosa? Mi pare proprio di sì”.
D’altra parte che si possa criticare e temere l’esibizione delle Frecce tricolori non è poi così scandaloso, visto che le loro scie grondano del sangue lasciato a Torvajanica, Codroipo, Ramstein (67 morti e 346 feriti), Caselle dove lo scorso anno è stata uccisa una bambina di cinque anni.
Ma i difensori acritici dell’ortodossia non la pensano così. Il vicepresidente dell’ANP (Associazione nazionale presidi), intervistato a proposito, afferma che la dipendente avrebbe infangato (sic!) la reputazione dell’Amministrazione pubblica.
E ipotizza che si possa procedere con l’azione penale e incriminare la docente per vilipendio della Repubblica, delle istituzioni della Repubblica e delle forze armate (art. 250 del codice di procedura penale).
Il senatore Speranzon (Lega) annuncia un’interrogazione al ministro Valditara mentre l’onorevole Caretta (FdI) afferma: “l’eventualità che questa docente continui a percepire uno stipendio sarebbe una vergogna intollerabile”. Manca solo che qualche strenuo difensore della patria (con la p minuscola) proponga che la poveretta venga fucilata all’alba nel cortile del Liceo “Foscarini”.
Una democrazia è in chiara sofferenza quando la regola dei “due pesi e due misure” diventa consuetudine sfacciata. Quando ai potenti è concesso tutto mentre al popolo è negato il dissenso e il diritto di esprimere la propria opinione perfino in ambiti privati e al di fuori dall’orario lavorativo. Infatti, a proposito di vilipendio delle istituzioni, che si dovrebbe fare di quei politici, anche ministri, che ogni giorno insultano pubblicamente un potere dello stato, la magistratura, e ne contestano aspramente le sentenze? Sono gli stessi che da tempo hanno sdoganato un lessico colmo di insolenze e parolacce e che per idee e comportamenti offensivi del loro stesso ruolo istituzionale nonché per la capacità di “infangare” altre istituzioni dello Stato non conoscono rivali.
Alla domanda della professoressa veneziana (“Viviamo in un regime?) possiamo rispondere che no, non viviamo ancora in un regime ma che ci sono in giro un po’ troppe persone che desiderano fortemente questo passaggio. Un chiaro indizio è proprio il fatto, che riteniamo insopportabile, che un qualunque lavoratore possa essere sanzionato in via disciplinare per delle opinioni, non importa quanto discutibili, espresse in luoghi e tempi estranei al proprio rapporto di lavoro. Come se si fosse in servizio per l’intera durata della propria vita e non per il solo tempo nel quale si svolge la mansione remunerata. In questo hanno chiare responsabilità anche quelle forze politiche e sindacali che hanno, le prime, varato un codice disciplinare enormemente restrittivo, le seconde, accolto quel codice all’interno dei contratti collettivi di lavoro.
Quindi, è il momento di opporsi con tutte le nostre forze affinché il diritto di esprimere la propria opinione sia di tutti; al contempo dobbiamo darci da fare affinché le libertà di opinione e di parola non siano viti spanate, che girano a vuoto ma divengano il lievito fondamentale per agire e costruire una società più giusta.
Milano, 8 novembre 2024