Operaio Stellantis di Cassino licenziato
“La necessità di unirsi va oltre i confini nazionali”
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Stellantis ha recentemente annunciato la sua performance finanziaria per il 2023, con ricavi netti di 189,5 miliardi di euro, in crescita del 6 percento rispetto al 2022, e un utile netto in crescita dell’11 percento a 18,6 miliardi di euro. Il CEO Carlos Tavares ha celebrato un enorme aumento del 56 percento dei suoi compensi, raggiungendo i 40 milioni di dollari.
Il rapporto finanziario 2023 della società pubblicato due settimane fa vantava un “bilancio solido, con una liquidità disponibile industriale pari a 61,1 miliardi di euro”. Per arricchire ulteriormente i suoi grandi investitori, la società ha annunciato un programma di riacquisto di azioni proprie per il 2024 da 3 miliardi di euro. L’aumento di stipendio di Tavares va di pari passo con un aumento del 53 percento della liquidità restituita agli azionisti attraverso dividendi e riacquisti, o cosiddetti buybacks, per un totale di 6,6 miliardi di euro nel 2023.
In questo contesto, Tavares sta procedendo con un piano di ristrutturazione che mira alla transizione verso i veicoli elettrici (EV) aumentando al contempo i profitti, traducendosi in una disastrosa campagna di licenziamenti di massa che sta colpendo tutti i paesi in cui Stellantis opera. Nel mirino ci sono gli stabilimenti italiani di Mirafiori e Pomigliano d’Arco, mentre si stanno chiudendo le linee Maserati e sono iniziati i licenziamenti, nonostante le smentite di Tavares nel tentativo di controllare i danni.
I lavoratori di tutto il mondo sanno che la minaccia è reale. Negli Stati Uniti, Stellantis ha interrotto il terzo turno presso lo stabilimento Detroit Assembly Complex-Mack, con 2.455 licenziamenti. Centinaia di lavoratori sono stati licenziati anche nel complesso di assemblaggio della Jeep di Toledo in Ohio, mentre lo stabilimento francese Stellantis Mulhouse è destinato a tagliare 600 posti di lavoro.
In Italia, Stellantis ha iniziato la sua campagna di guerra eliminando quei lavoratori che sono più militanti e denunciano la complicità delle burocrazie sindacali che tentano di tenere a freno la rabbia dei lavoratori.
Il WSWS ha parlato con Delio Fantasia, operaio automobilistico dello stabilimento di Cassino, nel sud del Lazio, licenziato da Stellantis all’inizio di febbraio. Lo scorso anno la produzione a Cassino è stata di 48.800 unità (-11,3 percento). È lo stabilimento con il calo più significativo rispetto al 2022. Nello stabilimento attualmente vengono prodotte la nuova Maserati Grecale con 17.242 unità, pari a più di un terzo della produzione, oltre a due Alfa Romeo, Stelvio e Giulia.
WSWS: Puoi dirci come e perché sei stato licenziato?
Delio Fantasia: Ho 58 anni, lavoro nello stabilimento di Cassino da 36 anni, prima Fiat, poi FCA [Fiat Chrysler Automotive], ora Stellantis, quindi ho percorso tutte le fasi da [Amministratore Delegato e poi Presidente] Cesare Romiti, poi Paolo Fresco, poi [Sergio] Marchionne, che i lavoratori americani conoscono bene, e oggi Tavares.
Il 7 febbraio ho ricevuto la lettera di licenziamento. Questa lettera di licenziamento ne precede un’altra ricevuta da Francesca Felice, operaia della SEVEL di Atessa [in Abruzzo]. Mi hanno ordinato di andare a lavorare ad Atessa, e ho posto un legittimo impedimento legato a fattori soggettivi, essendo geograficamente lontano [Atessa è a 80 miglia da casa]. Tecnicamente, secondo loro, avrei costituito un ostacolo al mio trasferimento. Ovviamente questo è un pretesto e mi avrebbero fatto fuori in un modo o nell’altro: punire uno per educarne cento.
WSWS: Perchè Stellantis voleva farti fuori?
DF: In 36 anni di lavoro non ho mai avuto provvedimenti disciplinari, non ho mai rubato, non ho mai ucciso, non ho mai truffato, non c’è stato scarso rendimento. Ma in questo particolare momento Stellantis doveva mandare un messaggio chiaro a tutti i lavoratori di quelle poche fabbriche rimaste, e cioè che io e Francesca dobbiamo partire perché in questo momento si sta giocando una grande partita, quella degli incentivi sui veicoli elettrici. Ma la partita che si gioca internamente è su come gestire le ridondanze strutturali che dovranno essere affrontate da qui alla fine del 2024.
Innanzitutto Stellantis vuole continuare a dimostrare che non licenzia nessuno, che è “un capitalismo dal volto umano”, che ha un cuore, e quindi deve gestirlo attraverso i media, questo stile che la Fiat ha sempre avuto: una società che ha a cuore le cosiddette risorse umane. Ma gli 850 esuberi strutturali di Cassino vanno gestiti e ovviamente di queste cose non se ne parla apertamente.
E vengono gestiti unilateralmente, quindi senza alcun confronto, in modo arbitrario. E per fare questo dobbiamo togliere di mezzo alcuni militanti e insegnare ad altri 100 come comportarsi se si mettono in mezzo. Il 2024 sarà duro per tutti gli stabilimenti del gruppo Stellantis, compreso Pomigliano che oggi sembra lavorare a pieno ritmo, ma sappiamo che la Panda si è spostata in Serbia e quindi anche Pomigliano avrà vita breve. Oggi ci sono queste risorse umane che vanno dismesse in tutte le fabbriche e su questo occorre il massimo silenzio, la massima dedizione reverenziale verso i padroni e non c’è spazio per il conflitto all’interno delle fabbriche.
Ecco perché sono stato espulso. Sulla SEVEL ad Atessa presto avremo gli stessi problemi, a Pomigliano ci saranno da giugno in poi, perché la Panda sarà fuori produzione. Melfi sta già pagando per primo con la crisi dei licenziamenti.
La Fiat si è stabilita a Cassino e ora l’economia ruota attorno a Fiat-FCA-Stellantis. Ha ipotecato l’intero territorio, è stata un’industrializzazione invasiva che ha inibito ogni altra possibilità di sviluppo diversificato: agricoltura, terziario, commercio, chimica e così via. C’è una responsabilità politica. L’intero stabilimento e l’intero patrimonio industriale di Cassino è stato costruito con i soldi della Cassa del Mezzogiorno, cioè con i nostri soldi.
WSWS: Cosa intendi per responsabilità politica?
DF: I partiti presenti in Parlamento sono organismi borghesi, non abbiamo alcuna sponda politica rispetto a questi, li additiamo come responsabili di questa industria invasiva che ha inibito tutto il resto. La Fiat se vuole andarsene deve lasciare il malloppo dov’è, non può fare quello che fa, vendere pezzo per pezzo la fabbrica a terzi. La fabbrica è nostra.
Occorre una riconversione della ragione sociale e pubblica dell’industria, una nazionalizzazione, come per la sanità pubblica e l’istruzione. Non c’è nessuna forza politica in Italia che possa fungere da sostegno politico ad un’iniziativa di questo tipo. Questa eventualità non può assolutamente verificarsi all’interno delle attuali forze politiche parlamentari nazionali.
WSWS: Come spieghi il ruolo dei sindacati?
DF: Negli anni ’90 i Comitati di Base (COBAS) sono esplosi in termini di consensi. Lo sviluppo è da attribuire agli accordi sindacali interconfederali del 1992-93 sull’abolizione della Scala Mobile e ad una serie di provvedimenti che hanno abrogato o peggiorato lo Statuto del Lavoro. Ciò causò l’implosione dei sindacati confederali, giustamente considerati dai lavoratori responsabili di queste sconfitte, e nacquero decine di organizzazioni sindacali di base, ma ci si è disuniti all’interno di un tessuto inizialmente molto unitario.
Nel 1992 dopo soli quattro anni di lavoro, ero ragazzino, sono entrato nel COBAS poi FLMU, in cui svolgo un ruolo ancora oggi, che poi anche successivamente ha avuto un periodo di crisi e si è divisa in tanti microrganismi.
In quegli anni nell’industria automobilistica si sviluppò il paradigma della “concertazione” per il superamento dei conflitti sociali sul posto di lavoro. Ciò significava cogestione, vale a dire che i datori di lavoro e i sindacati si univano per superare quelle che definivano criticità sul posto di lavoro. Questo è stato subito percepito come un fatto deleterio da tutti i lavoratori. Innanzitutto questa è stata una richiesta della classe dirigente politica nazionale, non è stata una richiesta che veniva dal basso. Poi la cogestione si è tradotta in sindacati che sono stati inseriti nei consigli di amministrazione dei fondi complementari private della pensione integrativa, in tal modo assurgevano a manager della grande finanza internazionale.
WSWS: Cosa accadrà al tuo caso? Che strategia pianifichi?
DF: Dopo il 10-15 marzo presenteremo ricorso. Dopo 36 anni di costruzione la pretestuosità riferita al contesto storico è così evidente, così chiara, che è difficile per qualsiasi giudice, anche il più reazionario, non tenerne conto.
Penso anche, però, che non debba essere la magistratura a regolare i conflitti sociali all’interno dell’azienda. Non possiamo delegare alla magistratura. L’ideale sarebbe stato che la fabbrica si fermasse completamente dopo il mio licenziamento fino al mio reinserimento in fabbrica. Ma delegare tutto alla magistratura, considerato l’orientamento che la magistratura ha assunto negli ultimi 30 anni, diventa un pericolo per i lavoratori in generale.
WSWS: Che feedback hai ricevuto dai tuoi colleghi?
DF: Abbiamo organizzato manifestazioni, ho avuto la massima solidarietà da parte di tutti i 2.700 lavoratori di Cassino. L’8 marzo ci recheremo ai cancelli dello stabilimento SEVEL di Atessa, l’8 marzo è la festa della donna e vogliamo collegarla anche al licenziamento di Francesca Felice, e sarà presente un’importante delegazione di lavoratori di Cassino con l’intento di fare rete tra i vari stabilimenti Stellantis perché da soli non possiamo farcela e in questo momento è importante.
WSWS: Cosa vorresti dire ai tuoi fratelli e sorelle nell’industria automobilistica di tutto il mondo?
DF: Il primo appello è quello di creare organismi di base per l’autodeterminazione o meglio l’autorganizzazione dei lavoratori, indipendenti dai sindacati, riconosciuti come tali dallo Stato borghese. L’appello è ad autorganizzarsi indipendentemente dai sindacati esistenti, perché sono collusi [con i padroni], collaborazionisti, molto spesso addirittura creati dai datori di lavoro.
In secondo luogo, tutelare il più possibile le avanguardie perché sono preziosissime non solo nelle fabbriche ma anche in tutti i luoghi di lavoro, nella scuola, nella sanità, nella previdenza, nei trasporti, nell’edilizia.
In terzo luogo, è necessario concentrarsi sull’internazionalità delle lotte, poiché le ragioni dei lavoratori e la necessità di unirsi attraverso le reti vanno oltre i confini nazionali.