GUERRA E CRISI DELL’ORDINE INTERNAZIONALE
QUALI POSSIBILI PROSPETTIVE PER IL MOVIMENTO DEI LAVORATORI?
Home » GUERRA E CRISI DELL’ORDINE INTERNAZIONALE-QUALI POSSIBILI PROSPETTIVE PER IL MOVIMENTO DEI LAVORATORI?
DIONISIO MASELLA
Centro studi CUB Milano
Docente, ricercatore associato LabisAlp – Università della Svizzera italiana, autore di
“Ucraina, Europa, mondo. Guerra e lotta per l’egemonia mondiale”
Avvocato, docente di Diritto degli Intermediari Finanziari – Università di Parma, autore di
“Né con la NATO né con la Russia. La guerra in Ucraina. Appunti storico-politici”
INTRODUZIONE:
Due anni fa ci siamo trovati la guerra in Europa. Il lungo periodo di pace, rotto dall’intervento NATO in Jugoslavia, aveva dato l’illusione che un’altra guerra non sarebbe più accaduta. Era semplicemente una illusione e se solo avessimo avuto interesse a guardarci intorno avremmo visto che le guerre non sono mai cessate, hanno coinvolti altri popoli, altri paesi e altri continuavano a pagarla.
La guerra oggi si aggiunge alla crisi economica determinata dalla pandemia e alla catastrofe ecologica. La crisi dell’ordine internazionale – che oggi vediamo in tutta la sua portata – era iniziata da diverso tempo e può essere simbolicamente datata con la presa d’atto – almeno a partire dal secondo mandato di Obama -che lo scontro principale di questo nostro secolo avrebbe contrapposto una potenza (in relativo declino e con debiti rilevanti) gli Stati Uniti ed una potenza (in relativa ascesa e con crediti rilevanti) la Cina.
Se ricordiamo bene, le tensioni commerciali tra i due paesi avevano assunto – ben prima della diffusione del virus – una asprezza non indifferente tra minacce velate e politiche protezioniste (dazi e tariffe sulle relative importazioni/esportazioni)che non potevano far altro che prefigurare uno scenario di caos mondiale sistemico.
All’interno di questo confronto, sul continente europeo, la borghesia tedesca si è trovata ad occupare la posizione più contraddittoria (per cercare di tutelare un modello di crescita economica trainato dalle esportazioni): divisa tra la sudditanza storica verso Washington e la necessità di preservare un rapporto privilegiato per lo scambio di materie prime (in particolare, gas e petrolio) con la Russia e di esportazione dei suoi manufatti industriali e tecnologici verso la Cina.
I governi italiani, compreso quello di Mario Draghi, hanno sempre giocato in queste vicende un ruolo di comparsa in quanto le regioni del Nord (Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) fanno parte di un’area economica fortemente integrata attraverso catene produttive che vedono le loro “teste di comando” situate principalmente in Germania.
Ad ogni modo, tutte le tensioni appena ricordate non potevano non trovare uno sbocco in una politica di riarmo generalizzata che, con una buona dose di inevitabilità, ha visto nell’invasione russa dell’Ucraina il suo primo risultato. Di questo argomento parleranno con maggiore attenzione i nostri ospiti, ma possiamo preliminarmente affermare alcune cose: senza entrare nei motivi che possono spiegare – in qualche modo – la decisione del governo russo (in particolare, l’allargamento ad est della NATO e la difesa della minoranza russofona residente nelle regioni orientali), a noi è sembrato subito evidente la natura criminale di questo atto.
Per questo motivo, i nostri comunicati e le nostre prese di posizione ufficiali si sono subito richiamate ad una posizione autenticamente pacifista e soprattutto equidistante rispetto a tutti gli interessi borghesi in campo.
Sulla base di questa consapevolezza, abbiamo denunciato l’invio di armi, deciso da tutti i paesi occidentali, al governo Ucraino non come lo strumento per “riequilibrare” le forze in campo, ma come una strategia dei capitalisti di casa nostra di guadagnare – a discapito di altri – un posto di primo piano nella necessaria ricostruzione post-bellica del paese orientale.
In questo senso, la nostra solidarietà non poteva non andare ai lavoratori/trici, di entrambi i fronti, che sarebbero presto diventati “carne da cannone” in un conflitto regionale (con riflessi internazionali, sia chiaro!) che non ha nessun tipo di venatura progressista o “antifascista” – come qualche sciocco propagandista sovranista pensa alle nostre latitudini.
La guerra in Ucraina, in ogni caso, ha rappresentato una evoluzione dello scenario mondiale che oggi vede riesplodere anche il conflitto israelo-palestinese (con il rischio di una generalizzazione dello scontro a tutta l’area Medio orientale). Secondo le stime più recenti, siamo ormai abbondantemente oltre i 30 mila morti civili tra i palestinesi e ci troviamo di fronte un governo (quello di destra israeliano) in cui alcuni dei suoi esponenti più oltranzisti invocano apertamente “soluzioni finali”.
Anche in questo caso, come nel precedente, abbiamo cercato di sottrarci ad una propaganda pubblica che vede nell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 – dopo, non dimentichiamocelo mai, circa sette decenni di politiche neo coloniali e di occupazione forzata dei territori palestinesi – la giustificazione di una contro-reazione militare israeliana che finalmente sta iniziando a generare un sussulto di sdegno a livello internazionale.
Per questi motivi, alla partecipatissima manifestazione milanese di Febbraio siamo scesi in piazza con uno striscione in cui denunciavamo, a chiare lettere, la politica genocida che si sta consumando a Gaza sotto gli occhi del mondo interno. Anche rispetto a quanto sta avvenendo o potrebbe avvenire in Medio-Oriente, chiediamo ai nostri relatori di intervenire per darci ulteriori spunti di riflessione.
A QUESTO PUNTO, PERÒ, DOBBIAMO DOMANDARCI: COSA POSSIAMO FARE NOI, LAVORATORI E LAVORATRICI, ORGANIZZATI IN UN SINDACATO DI BASE E CONFLITTUALE COME LA CUB?
Intanto, dobbiamo partire dalla necessità di capire chi muove la guerra, per cosa la si fa e di liberarci da una narrazione tossica – anche a sinistra! – che vede nella cattiveria di questo o quel politico, o nella sete di vendetta di questo o quel potente di turno (sia George Soros o Bill Gates) l’avversario contro cui lottare.
Noi dobbiamo aver ben chiaro che guerra, militarismo ed imperialismo sono fenomeni strettamente connessi alle dinamiche dell’economia capitalistica. Anzi, l’estensione dei rapporti di produzione capitalistici a tutto il globo si è sempre accompagna a politiche di vera e propria rapina di beni comuni e di sterminio coloniale. Ovviamente, possono cambiare le forme esteriori del dominio, ma la sostanza di meccanismi di scambio ineguale e di indebitamento restano la costante fino ad oggi.
La costruzione di una proposta alternativa tra i lavoratori, dunque, passa dalla necessità di sottrarci a tutte quelle letture “geo-politiche” dei conflitti militari che dimenticano volontariamente di rintracciare le loro radici nei conflitti di classe. Per questo motivo, il nostro compito è mettere in risalto il nesso che lega la “guerra esterna” alla “guerra interna” che, tutti i giorni, viene condotta contro i lavoratori ed i ceti popolari.
Il legame, tra le due, è evidente non solo perché le spese militari prosciugano risorse che potrebbero essere investite diversamente (ad esempio, su salari, scuola e sanità pubblica), ma anche perché la centralità economica del complesso “militar-industriale” richiede una politica interna repressiva, in particolare sui luoghi di lavoro.
Economia di guerra, attacco ai salari, tutela degli interessi dei grandi capitalisti e soppressione del dissenso sono tutti aspetti già presenti negli obbiettivi politici di diversi paesi europei, contro cui come CUB, siamo chiamati ad organizzarci.
Aver chiara l’evoluzione dello scenario internazionale ci serve, dunque, per capire come sia possibile situare, al netto delle nostre forze, la nostra azione conflittuale e contrattuale nei luoghi di lavoro e nella società.
In aggiunta, la nostra organizzazione si è sempre battuta strenuamente contro la pratica sindacale della Concertazione Sociale costruita sulla necessità di arrivare ad una soluzione comune dei problemi sociali. Storicamente la motivazione ideologica è sempre stata quella di richiamare le forze del lavoro ad un ruolo “responsabile” che tenesse conto dei destini delle imprese e della Nazione.
Quante volte, in questi ultimi anni, ci siamo sentiti ripetere che dovevamo “tirare la cinghia” e fare i sacrifici per permetterei ai padroni di accumulare profitti? Quante volte, ci hanno detto che eravamo irresponsabili a rivendicare aumenti salariali e miglioramenti normativi in un contesto di guerra ed alta inflazione?
Il superamento della Concertazione Sociale, sia come sistema di accordi sindacali che soffocano il conflitto sociale sia come ideologia, è quindi un passo da fare per sbarazzarci di una sudditanza verso un sistema sociale che risolve le sue crisi di profittabilità per mezzo di guerre sempre più sanguinose e costose. Va combattuto il concetto di concertazione sulla guerra in Europa, nonché sulla catastrofe climatica perché i lavoratori da questi eventi hanno solamente da perdere mentre il capitale realizzala propria crescita, senza riguardi per la natura saccheggiata e distrutta e per gli esseri umani sacrificati.
Confermiamo così lo stesso la stessa posizione contro la guerra assunta nel 1999 allorché la NATO bombardò il territorio jugoslavo, quella in Afganistan e nel 2003 contro la guerra in Iraq allorché furono indetti ed organizzati scioperi generali con le altre organizzazioni di base.
Per questo motivo, come organizzazione sindacale non solo rimaniamo impegnati quotidianamente nella denuncia contro tutte quelle politiche, a tutela dei gruppi dominanti, che vogliono imporre una “economia di guerra”, ma puntiamo a rappresentare un polo di aggregazione di tutti quei soggetti (individuali o organizzati) che vogliono lottare, sui luoghi di lavoro e nella società, per un mondo di pace e giustizia sociale.
Ad ogni modo, per avere le giuste coordinate abbiamo deciso di organizzare questa mattinata di discussione a partire dalla presentazione di due libri: 1) Ucraina, Europa Mondo Guerra e Lotta per l’egemonia mondiale, pubblicato dalla casa editrice Asterios; 2) Né con la Russia Né con la Nato. La guerra in Ucraina. Appunti storico-politici, pubblicato dalla casa editrice Punto Rosso.
A discutere con noi, sono presenti entrambi gli autori: Giorgio Monestarolo docente e ricercatore associato presso il Laboratorio di Storia delle Alpi dell’Università della Svizzera Italiana; Francesco Bochicchio, avvocato e docente di diritto degli intermediari finanziari all’Università di Parma.