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RISTRUTTURAZIONE PRODUTTIVA E CRISI ECONOMICA NELL'UNIONE EUROPEA: CONTENUTO E SIGNIFICATO DELLE RISPOSTE OFFERTE DALLE ISTITUZIONI EUROPEE

INTERVIENE PROF. JOSEPH HALEVI - 08/05/2021

INTRODUZIONE:

Buongiorno a tutte le persone che ci ascoltano. Apriamo, con questo primo incontro, un nuovo ciclo di webinar formativi che si propongono di ragionare sulla crisi in atto, le sue cause e conseguenze, la possibilità di contrastarla agendo a favore del mondo del lavoro.

Lo abbiamo intitolato “La crisi è strutturale…” e si tratta quasi di un’ovvietà, considerato che, da molto tempo, viviamo immersi in uno scenario di forti tensioni e trasformazioni, associato a precipitazioni economiche di grande portata. Considerando solo gli ultimi 3 decenni, si parte dalla fine dell’equilibrio bipolare con il conseguente scatenarsi di nuove guerre tese a ridefinire confini geografici, nuove entità statali e nuove aree di influenza. Parliamo delle guerre nei Balcani, in Iraq, in Afghanistan cui seguiranno, in tempi più recenti, il Donbass, la Libia, la Siria, lo Yemen. Sono anni di trionfo dell’ideologia neo-liberale, di assoggettamento della società al mercato, di ingenti masse di capitali speculativi che vagano in cerca di impiego e che sono in grado di porre sotto schiaffo il debito degli Stati. Sono quindi gli anni  in cui cresce la bolla finanziaria che scoppierà nel 2007 precipitando l’economia mondiale in una crisi economica lunga e persistente, creando le premesse per quegli attacchi speculativi contro gli stati che finiranno col trascinare la piccola Grecia sull’orlo del baratro e col mettere in piena luce i molti limiti della costruzione europea.

Quasi tutta la seconda decade di questo secolo è infatti segnata dalla crisi dei “debiti sovrani” e dalle politiche di austerità: bassi salari, flessibilità del lavoro, ritirata del welfare e svendita dei beni pubblici.  Ma la vicenda greca è la classica punta dell’iceberg, una vicenda che mette drammaticamente in evidenza le difficoltà dell’Unione e il peso esorbitante assunto da alcuni degli stati che la componengono. Emergono chiaramente il deficit di democrazia nelle relazioni tra stati e tra vertici e cittadini, la rigidità dei suoi meccanismi di gestione, l’intrasigenza e il ruolo preminente della Germania e dei suoi satelliti, una nuova geografia del potere economico. Tutte ragioni che concorreranno alla brexit cioè al primo restringimento dei confini dell’UE dal momento della sua fondazione.

Infine è giunta la pandemia ad innescare una nuova fase della crisi economica e a far emergere le grandi e consolidate diseguaglianze, le distorsioni introdotte dal libero mercato, lo strapotere delle multinazionali, prime fra tutte quelle del farmaco.

In sostanza i più giovani, le persone di 30-40 anni, non hanno avuto altra esperienza che un continuo susseguirsi di crisi nel corso delle quali il mondo del lavoro veniva spinto dentro confini più limitati in termini di garanzie, diritti e salario. Un’esperienza che rischia di diventare senso comune e di impedire la comprensione dei meccanismi di gestione delle crisi economiche, le scelte che vi si compiono, le dinamiche che vi si determinano e che hanno portato ad un enorme trasferimento della ricchezza sociale prodotta dal lavoro, verso il capitale e la rendita.

Con questa iniziativa di formazione, e con le altre che seguiranno, ci proponiamo di evitare un simile rischio e di fornire gli strumenti necessari per comprendere e orientarsi in difesa dei diritti e degli interessi della nostra classe. Di diffondere una maggiore consapevolezza in campo economico e politico affinché la nostra organizzazione sindacale sia in grado di elaborare, adottare e adeguare continuamente un programma di azione sempre più adatto alle difficoltà che ci attendono nella fase post pandemica.

Pensiamo chel’attuale crisi sanitaria ed economica stia sgretolando molti di quei dogmi neo-liberali sui quali si era basata l’offensiva padronale degli ultimi decenni. Questo, però, piuttosto che fermare il progressivo peggioramento nelle condizioni di lavoro e di vita delle classi popolari, sembra alimentare ulteriori trasformazioni economiche sia nell’organizzazione del lavoro, sia nelle strutture delle imprese capitalistiche.

Tra queste trasformazioni ci pare che, in ambito europeo, abbiano un peso rilevante il tentativo di raggiungere una maggiore e crescente interdipendenza delle strutture produttive e la spinta ad accentuare il processo di centralizzazione sovranazionale dei capitali. Pensiamo che per questa via le classi dirigenti europee tentino di adeguarsi ai maggiori livelli della concorrenza internazionale e di posizionarsi in una sorta di equilibrio economico multipolare, nel quale Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese costituiscono i due poli di maggiore peso. Dentro questa cornice, comunque contraddittoria, pensiamo che si inserisca anche la nomina del governo Draghi, chiamato a garantire la salda adesione del nostro paese ai dogmi del libero mercato e agli interessi del capitale italiano ed europeo. Ci pare infatti chiaro che nella divisione continentale e internazionale del lavoro che emerge dalle dinamiche sommariamente descritte, ai capitalisti italiani sia assegnata una posizione sempre più subalterna che consente loro, al massimo, l’insediamento in modeste nicchie produttive, orientate prevalentemente all’esportazione e, sempre più spesso, facenti parte delle filiere produttive dei aesi forti, in primo luogo la Germania. Per rendersene conto basta osservare la totale acquiescenza dei governi di ogni colore, di fronte al progressivo smantellamento del patrimonio industriale italiano, pubblico e privato, e alla sua cessione all’estero (esemplari, in proposito, sono le vicende Ilva, FCA e Alitalia).

Un altro elemento che occorre sottolineare è la mancanza di una risposta della classe lavoratrice che sia all’altezza delle trasformazioni in atto. Certamente, pesano decenni di concertazione sociale e di ricatti occupazionali condotti a forza di esternalizzazioni,  delocalizzazioni e precarizzazione dei rapporti di lavoro. Ma siamo convinti che pesino anche la non conoscenza dei meccanismi usati per perpetuare il dominio padronale e l’insufficiente consapevolezza dei propri interessi in quanto classe sociale. Percominciare ad affrontare questi nodi, abbiamo pensato di indagare la presente crisi economica, tanto italiana quanto continentale, ed ilsuo uso contro la classe lavoratrice.

È un compito senz’altro difficile ma noi possiamo contare su generosi compagni di strada, tra questi Joseph Halevi, economista e professore onorario della Macquarie University di Sydney. Uno studioso che non richiede un grande sforzo di presentazione dal momento che si tratta di uno dei più noti e stimati economisti italiani. Joseph Halevi ha insegnato economia a Torino, Sydney, New York, Grenoble, Nizza e Amiens, è autore di numerose pubblicazioni, quasi tutte in inglese, tra le quali segnalo “Modern Political Economics: Making sense of the post-2008 world” (Economia politica moderna: dare un senso al mondo post 2008), scritto insieme a Yanis Varoufakis e Nicholas Theocarakis.

Colgo l’occasione per ringraziare della sua presenza anche il prof. Pastrello. Siamo sicuri che anche lui porterà un contributo qualificato alla nostra discussione odierna. Oltre a me, Natale Alfonso, a sollecitare il nostro relatore ci sono: Delio Fantasia, operaio della FCA di Cassino, Gemma Facioli, assistente di volo dell’Alitalia e Fabio Scolari, del nostro centro studi.

Concludo questa breve introduzione, sottolineando che siamo consapevoli del fatto che la sfida lanciata contro il mondo del lavoro si giochi su una pluralità di piani (aziendale, nazionale, continentale e mondiale) e quindi siamo certi che per affrontarla sia necessario scartare ogni facile scorciatoia sovranista perché questa ignora la complessità dei problemi che abbiamo di fronte. Inoltre, abbiamo anche la necessità di ampliare la nostra prospettiva a problematiche spesso trascurate, ma che da decenni toccano le mobilitazioni dei lavoratori e delle lavoratrici quali l’assurdità di uno sviluppo senza limiti, la cura dell’ambiente e della salute, la salvaguardia dei territori, ecc… In definitiva, quindi, quello che ci attende sarà un periodo molto difficile che potremmo affrontare solo contando sulle nostre capacità di lotta e sull’intelligenza collettiva. Solamente in questo modo, potremmo fare la nostra parte nel tentativo di riaccendere la conflittualità sociale sia nel nostro Paese che nel nostro continente.