CHI SIAMO

La Confederazione Unitaria di Base (CUB) è nata nella primavera del 1992 per iniziativa di numerosi lavoratori e delegati sindacali fortemente critici nei confronti di CGIL – CISL – UIL ed è oggi uno dei più importanti sindacati di base operanti in Italia.

La Confederazione Unitaria di Base (CUB) è nata nella primavera del 1992 per iniziativa di numerosi lavoratori e delegati sindacali fortemente critici nei confronti di CGIL – CISL – UIL ed è oggi uno dei più importanti sindacati di base operanti in Italia.

Un po’ di storia…

Alla fine degli anni ’60, la forza contrattuale del movimento operaio, in stretta connessione con il raggiungimento di un tendenziale pieno impiego, toccò il suo picco massimo. Le lotte iniziate nella sfera della produzione – in primo luogo salariali, ma ben presto di carattere più generale – riuscirono ad operare un complessivo ribaltamento nei rapporti di forza tra le classi, talmente profondo da innescare una “crisi di legittimità” del potere borghese. Il nostro paese fu, in quel periodo, uno dei casi più studiati proprio per l’avanzamento dei diritti (sociali e civili) e l’articolazione del conflitto sociale – che ebbe tra le sue conquiste più simboliche l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori (1970) criticato, comunque, da ampi settori del movimento dei lavoratori in quanto considerato troppo arretrato e vissuto come un tentativo di istituzionalizzare le lotte. A livello sindacale, l’organizzazione che subì l’evoluzione più innovativa fu senza dubbio la CISL, grazie ad una nuova leva di giovani operatori sindacali – i cosiddetti “innovatori”, tra cui spiccava la figura di Pierre Carniti – che andarono progressivamente ad occupare ruoli di primaria importanza, soprattutto nella FIM, la categoria dei metalmeccanici. Fu grazie a questo passaggio di consegne, che il riemergere di un poderoso ciclo di lotte operaie si poté saldare con una prassi sindacale radicale e contrattualmente molto avanzata (superando il moderatismo e l’interclassismo della prassi cislina delle origini, in favore dell’affermarsi di una più coerente messa in pratica delle teorie contrattualiste, insegnate al centro studi della confederazione a Firenze, approfondite anche dalla non accettazione della divisione capitalistica del lavoro e dell’attuale modo di produzione, derivanti dall’assunzione di elementi d’analisi delle elaborazioni marxiste più eterodosse). L’avanzata del movimento dei lavoratori, trovò in breve tempo una risposta adeguata delle controparti datoriali ed istituzionali. A questo proposito, le turbolenze politiche ed economiche degli anni settanta – la rottura degli accordi di Bretton Woods, l’inasprirsi della guerra in Vietnam e le crisi petrolifere ed energetiche – furono utilizzate dal padronato come leve per cercare di invertire le conquiste sociali e la prassi di conflitto permanente diventate insostenibili per gli equilibri capitalistici.

Fu, dunque, la commistione tra “l’attacco dall’altro” ed il ritorno a venti di crisi economica ciò che spinse, alla fine degli anni ’70, le tre principali centrali sindacali in Italia (CGIL – CISL – UIL) a varare la cosiddetta “svolta dell’EUR”, accettando una prospettiva di piena compatibilità con il sistema capitalistico. Il salario, da quel momento in avanti, non avrebbe più dovuto essere considerato una “variabile indipendente” dalla produttività, ma bisognava, al contrario, imporre «ai lavoratori una politica di sacrifici. Sacrifici non marginali, ma sostanziali»[1]L’impresa diventava sinonimo di interesse generale e si accettava, di conseguenza, di scaricare sulle spalle dei lavoratori il compito di salvare il capitalismo in crisi, con i sacrifici e l’austerità. Su queste basi, la triplice confederale portò a compimento una complessiva riforma organizzativa, finalizzata a centralizzare le decisioni in seno alle strutture burocratiche per sottrarre progressivamente ai Consigli di Fabbrica, che erano espressione diretta del contro-potere dei lavoratori nelle aziende[2], le loro funzioni contrattuali e decisionali.

Era il preludio di un cambio di fase nel sistema di relazioni industriali che inaugurerà la stagione della  “Concertazione Sociale”, con cui il Governo, la Confindustria e CGIL–CISL–UIL, nei successivi trent’anni, hanno regolato, in via negoziale, importanti materie economiche, di politica sociale e relative alla contrattazione collettiva. Tramite questi accordi è stata data applicazione alle misure di rigore economico, alla compressione dei salari ed alla flessibilizzazione del mercato del lavoro, consentendo così anche il rispetto dei vincoli per l’ingresso nell’area della moneta unica fissati nel Trattato di Maastricht (1992).

Nel 1990 venne varata, in aggiunta, la legislazione anti-sciopero: la Legge 146/90. Grazie ad essa ed alle sue successive evoluzioni, all’applicazione da parte delle autorità ad essa preposte anche sulla base degli accordi settoriali di regolamentazione sottoscritti da CGIL-CISL-UIL, in Italia vastissimi settori di servizi pubblici e privati sono stati sottoposti a pesanti limitazioni all’esercizio del diritto di sciopero.

Per contrastare questa controffensiva nei confronti dei lavoratori (istituzionalizzazione/burocratizzazione del sindacato e precarizzazione del welfare state e dei diritti del lavoro), si svilupparono progressivamente percorsi di sindacalismo di base in molti luoghi di lavoro. All’interno di questa galassia variegata, un ruolo di primo piano fu ricoperto dall’azione sindacale di un gruppo molto consistente di metalmeccanici ex aderenti alla FIM – CISL di Milano, guidati da Piergiorgio Tiboni[3] e che si erano andati formando sotto l’influenza delle idee con cui Pierre Carniti, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, aveva guidato il rinnovamento del sindacato milanese dei metalmeccanici della CISL: autonomia ed incompatibilità con i ruoli di partito; autonomia sostanziale all’interno del sindacato delle federazioni che rappresentano i diversi settori; contrattualismo e conflitto sindacale, intesi come molle del progresso economico e mezzi di regolazione democratica degli interessi diversi presenti in una società pluralista, accentuando il potere contrattuale del sindacato a tutti i livelli, dalla fabbrica alla società.

Questa peculiare concezione del ruolo politico e della prassi del sindacato veniva dispregiativamente apostrofata dai suoi detrattori come “pansindacalismo”[4].

Comizio di Pierre Carniti davanti a una fabbrica occupata, anni '60.

LA NASCITA DELLA FLMUNITI E DELLA CUB

Fu proprio in questo pesante clima di restaurazione del potere padronale, che il gruppo dirigente della FIM di Milano, schierandosi contro il progressivo abbandono di una prassi conflittuale e rivendicativa in favore di una veste “moderata e responsabile”, finì per subire diversi processi disciplinari interni che si conclusero con la chiusura di qualsiasi spazio di dialogo e di azione.

L’argomento che, in maniera strumentale, venne agitato fu una presunta situazione debitoria insostenibile che, in realtà, nascondeva la volontà dei vertici categoriali e confederali di andare a normalizzare una stagione di lotte sindacali che, nella provincia milanese, trovava la sua “punta di diamante” proprio nella segreteria della FIM cittadina. L’intransigente opposizione alla svendita dell’Alfa Romeo alla FIAT e la vertenza che ne seguì, con l’accrescersi delle tensioni con il livello nazionale, assunse, ben presto, la forma del detonatore definitivo.

In definitiva, dunque, fu per evitare che il patrimonio di lotte e di organizzazione costruito nei decenni precedenti dalla FIM di Milano fosse disperso che Piergiorgio Tiboni ed i compagni a lui più vicini decisero di fondare, nell’aprile del 1991, la Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti (FLMUniti), con l’obiettivo di costituire un sindacato “fortemente radicato nelle fabbriche e nella società, con la sua azione basata sul conflitto e sulla contrattazione a tutti i livelli: mantenendo inoltre questo agire concreto all’interno di un progetto organico di società, fondato su principi di uguaglianza, di solidarietà e di giustizia sociale. Un progetto ambizioso che puntava alla costruzione di un sindacato di classe indipendente dal quadro politico, non subalterno alle scelte dei padroni, dei partiti e dei governi, tendenzialmente maggioritario tra i lavoratori” [5].

L’esperienza della FLMUniti, fece poi da catalizzatore per un processo di aggregazione di vari gruppi del sindacalismo di base e di moltissimi lavoratori e lavoratrici presenti nell’industria, nei servizi e nel pubblico impiego, che sfociò nella costituzione, sempre a Milano, della Confederazione Unitaria di Base (CUB) nel 1992.

La CUB nacque – fin dall’origine – come un sindacato generale con l’intento di andare ad estendere la mobilitazione dei lavoratori in favore dei loro diritti e dei loro salari ed, al contempo, erodere un consenso, sempre più passivo, verso le tre maggiori confederazioni sindacali, ormai definitivamente ridotte a “cinghie di trasmissione” dei partiti, dei governi e subalterne agli interessi delle aziende. L’obiettivo era quello di fondare una nuova confederazione sindacale nazionale in grado di ospitare le correnti di pensiero e di azione più vive della storia del movimento operaio italiano, innestandole in una struttura costituita da organizzazioni settoriali in grado di aggregare i lavoratori partendo da condizioni di omogeneità (per favorire la ricomposizione delle filiere produttive) e l’elaborazione di rivendicazioni contrattuali avanzate. La confederalità, in questo impianto, sarebbe divenuta il livello di sintesi dal quale rilanciare una piattaforma autonoma del mondo del lavoro in cui gli obiettivi quotidiani si legassero a rivendicazioni di trasformazioni più generali e di superamento della società capitalistica.

Intervento di Piergiorgio Tiboni all'assemble nazionale confederale della CUB nel 1996.

I DANNI CAUSATI DA TRENT’ANNI DI CONCERTAZIONE SOCIALE

Con gli Accordi Interconfederali del 23 Luglio e del 20 Dicembre del 1993, Governo, Padronato e CGIL-CISL-UIL abolirono definitivamente la “Scala Mobile”, attribuendo ai contratti collettivi nazionali il ruolo di tenere il passo con l’inflazione calcolata dall’ISTAT, ma non più quello di aumentare realmente le retribuzioni.

Alla contrattazione aziendale, invece, si assegnò il vincolo che ogni incremento retributivo dovesse essere coperto dalla crescita della produttività e dei profitti aziendali. Il salario diventò, in questo modo, una vera e propria “variabile dipendente” dal sistema.

In aggiunta, con il sistema delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU) fu cancellata la democrazia nei luoghi di lavoro, affossando i Consigli di Fabbrica, smobilitando i lavoratori ed introducendo le basi per la costruzione di un sistema di monopolio della rappresentanza sindacale e della contrattazione nei luoghi di lavoro in favore di CGIL-CISL-UIL, culminato nel Testo Unico sulla Rappresentanza del 10 gennaio 2014 (TUR 2014). Tale accordo ha avuto l’obiettivo di tratteggiare un nuovo sistema di relazioni industriali, in cui il dissenso è bandito dai luoghi di lavoro ed in cui il sindacato, per poter essere riconosciuto in azienda e per poter continuare a mantenere i suoi apparati burocratici, deve accettare di assumere il ruolo di “pacificatore sociale”: non deve più protestare, deve solo servire a far rassegnare i lavoratori ad un progressivo ridursi dei diritti.

Oggi, si prospetta una possibile ulteriore modifica, anche in via legale, che, in assenza delle lotte dei lavoratori, potrà solo peggiorare la situazione attuale parificando alla triplice l’UGL – sindacato erede della tradizione corporativa di destra.

In trent’anni di “Concertazione Sociale” abbiamo assistito ad un pesante arretramento dei diritti dei lavoratori. Sono state introdotte contro-riforme, a partire dalla Legge Treu e dalla Legge Biagi, che hanno precarizzato il mondo del lavoro senza alcuna opposizione sociale: collaborazioni parasuborsinate, contratti a termine, a chiamata, lavoro somministrato, clausole flessibili, straordinari obbligatori, appalti e sub-appalti, mobilità interna e mansioni sempre più indefinite ecc… Oggi i contratti precari sono più di 3 milioni ed è diventato sempre più diffuso il ricorso ai “part-time involontari” ed alla esternalizzazione di intere fasi produttive. Gli aumenti salariali previsti nei rinnovi dei contratti nazionali sono stati generalmente miseri, dai 50 agli 80 Euro spalmati su almeno quattro anni, e tali da non riuscire neanche a recuperare l’inflazione reale calcolata dall’ISTAT. Quote sempre più importanti di salario sono state dirottate in favore di Enti Bilaterali e fondi sanitari o previdenziali privati, cogestiti da sindacalisti ed imprenditori. In alcuni casi abbiamo assistito anche a decenni di blocco dei rinnovi contrattuali, che hanno fatto risparmiare solo le imprese.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti: mentre i profitti degli imprenditori sono cresciuti in maniera esponenziale, i salari dei lavoratori sono diminuiti del -2,9% rispetto al 1990.

Inoltre, di fronte ad una classe lavoratrice smobilitata ed a CGIL-CISL-UIL che si sono progressivamente snaturati in enti unicamente interessati ad erogare servizi di natura assistenziale alla cittadinanza, il padronato ed i suoi referenti politici si sono spinti oltre dichiarando defunta perfino la “Concertazione Sociale”: a testimoniarlo ci sono stati l’introduzione dell’obbligo di pareggio di bilancio in Costituzione, con cui si ponevano il rispetto di precisi vincoli alla spesa pubblica, e le nuove riforme del mercato del lavoro, dalla Riforma Fornero (che ha pesantemente esteso i requisiti per raggiungere il pensionamento ed ha iniziato a smontare la tutela contro i licenziamenti illegittimi prevista dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori) al Job’s Act (che ha liberalizzato i contratti a termine, favorito la flessibilità delle mansioni e  definitivamente svuotato l’art. 18), tutte disposte unilateralmente dai governi senza accordarsi con le parti sociali.

Manifestazione in occcasione dello scioper generale contro la finaziaria del governo Berlusconi, Milano 7 Novembre, 2003.

LE MAGGIORI INIZIATIVE DEGLI ULTIMI ANNI

In questi anni, la CUB ha sempre cercato di rappresentare un argine in difesa dei diritti dei lavoratori, contrastando il sistema della “concertazione sociale”, lottando contro l’introduzione della precarietà, le ristrutturazioni produttive e lo smantellamento dell’apparato industriale, lanciando campagne e scioperi in difesa del salario, del reddito, per un lavoro dignitoso e di qualità:

– ha proclamato, con la parola d’ordine “Lavorare meno per lavorare tutti!”, i primi scioperi generali del 14 maggio, 2 ottobre e 20 novembre del 1992 contro gli accordi che falcidiavano il potere d’acquisto dei lavoratori e cancellavano la scala mobile, rivendicando invece la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario;

– contro gli accordi di Maastricht, ha promosso la campagna “Morire per Maastricht? No, grazie! Maastricht non è la cura, è la malattia” con due manifestazioni nazionali a Roma nel 1996;

– ha promosso continue iniziative: contro lo smantellamento dell’Alfa Romeo, in particolare nel sito di Arese (MI), e di tutto il gruppo FIAT; contro lo smantellamento di Alitalia; per la riconversione ecologica dell’ILVA di Taranto;

– ha da sempre contrastato la precarietà, lottando contro le riforme di flessibilizzazione del mercato del lavoro, rivendicando l’abolizione dei contratti precari e la reinternalizzazione degli appalti. Ha promosso, per anni, insieme ai movimenti sociali, la “Mayday Parade” del 1° maggio, che ha portato migliaia di giovani a protestare nelle strade di Milano;

– ha indetto lo sciopero generale in occasione del Global Forum di Napoli e del G8 di Genova (2001), oltre che ha partecipato in maniera determinante alle iniziative anti TAV, con la proclamazione dello sciopero generale territoriale (2005);

– il 17 Novembre 2006 ha promosso la grande campagna che ha impedito lo “scippo” del TFR dei lavoratori, contrastando una legge finanziaria che introduceva un meccanismo di silenzio-assenso (in realtà il silenzio assenso esiste ancora se il lavoratore non determina la scelta entro sei mesi dall’assunzione con il dirottamento ai fondi complementari di categoria coogestiti da aziende e sindacati) per regalare a CGIL-CISL-UIL la liquidazione dei lavoratori 1 milione e mezzo di lavoratori hanno aderito allo sciopero e oltre 300.000 hanno sfilato in 27 piazze;

– si è costituita parte civile contro le morti per l’amianto alla Motedison, al Teatro La Scala, alla Eternit, alla Olivetti ecc…;

– sostiene da sempre la lotta al razzismo che nega la dignità delle persone, e le iniziative contro le guerre e le spese militari;

– negli ultimi anni, si è fatta promotrice di importanti mobilitazioni e scioperi generali contro la “Riforma Fornero” del Governo Monti; contro il “Job’s Act” del Governo Renzi; contro Expo 2015 e il lavoro gratuito; in sostegno dell’ 8 marzo femminista; in difesa della giustizia climatica; contro il “Decreto Sicurezza” del Governo Conte-Salvini;

– continua a promuovere la richiesta di una legge democratica sulla rappresentanza sindacale e sull’efficacia erga omnes dei contratti collettivi, sostenendo anche importanti vertenze per vedere affermato il diritto dei lavoratori a poter costituire rappresentanze sindacali libere e a partecipare alla contrattazione collettiva senza sottostare alle regole capestro di padronato e CGIL-CISL-UIL;

– la CUB è stata anche epicentro di un importante processo di ricomposizione dell’unità nel sindacalismo di base, con la confluenza al suo interno, nel 2021, di gran parte del Sindacato Generale di Base (SGB), che era precedentemente fuoriuscito dall’Unione Sindacale di Base (USB) in polemica con una gestione sempre più legata ad interessi partitici piuttosto che schiettamente sindacali ed interclassista perché legata alla teorizzazione ed alla pratica del “sindacato metropolitano”[6] ed alla costituzione di una “federazione del sociale” che andasse ad aggregare, separandoli dalle categorie di appartenenza, i settori più precari della classe lavoratrice. Gli stessi motivi avevano già comportato la separazione tra la CUB e RdB che aveva poi costituito USB.

Manifestazione in occasione dello sciopero generale del sindacalismo di base, Milano, 25 giugno, 2010.

I nostri valori

Oggi, agli occhi dei più, il sindacato si è trasformato in un semplice ente che offre servizi di natura fiscale e previdenziale ai propri iscritti[7], che non è più in grado di incidere sui reali problemi dei lavoratori ma che, anzi, può essere perfino capace di firmare contratti collettivi con stipendi di 5 Euro lordi all’ora.

Noi invece, come CUB di Milano, vogliamo continuare, ostinatamente, a cercare di costruire un Sindacato di Classe che abbia al centro della propria identità il rapporto con i lavoratori, il conflitto, la contrattazione, le mobilitazioni, per obiettivi di tutela concreta all’interno dei luoghi di lavoro, puntando ad erigere, ovunque sia possibile, degli argini di tutela verso il dominio del capitale, sostituendogli le ragioni di una società fondata sull’uguaglianza sostanziale, la giustizia sociale, la pace, l’ecologia e che assicuri a tutti il soddisfacimento dei bisogni primari (salute, lavoro, reddito, abitazione, studio).

Un Sindacato di Classe che è l’unico strumento che può essere in grado di rilanciare il protagonismo dei lavoratori, fondato su:

  • completa autonomia da padroni, partiti e Stato. Per poter svolgere una azione di ribaltamento dei rapporti di forza in favore della classe lavoratrice, la CUB non può essere soggetta a nessuna ingerenza esterna. Gli unici interlocutori devono essere i lavoratori e le lavoratrici che, in un quadro di completa democrazia sostanziale, decidono le modalità di lotta ed i contenuti degli accordi. L’autonomia non deve essere confusa con una presunta “apoliticità” dell’azione sindacale, ma come l’unica base sulla quale è possibile realizzare una maturazione della coscienza di classe del mondo del lavoro[8]. La CUB non è il sindacato degli slogan anticapitalistici astratti, ma l’organizzazione sindacale che per mezzo della sua azione quotidiana organizza, contratta ed impone equilibri più avanzati a favore dei lavoratori e delle lavoratrici.
  • contrattualismo e conflitto. In una società divisa in classi antagonistiche, il ruolo primario del sindacato è quello di contrattare le migliori condizioni possibili nella vendita della forza-lavoro (salario). Proprio per questo motivo individuiamo nella prassi contrattuale gli strumenti che ci permettono di riequilibrare i rapporti di forza. La divisione non è tra chi firma accordi e chi non li firma, ma tra chi firma accordi che vanno a discapito dei lavoratori e chi no. Quindi, la nostra “matrice contrattualistica” non può essere divisa da una “matrice conflittuale” proprio perché nella contrattazione collettiva si cristallizza un rapporto di forza che viene rimesso costantemente in discussione dai padroni. L’arma dello sciopero (nelle sue diverse forme) è lo strumento principale di cui il movimento operaio dispone per conquistare migliori condizioni di vita e di lavoro. Il terreno di organizzazione privilegiato del sindacato non può che essere l’impresa capitalistica[9].
  • piena democrazia interna ed esterna. Il tema della democrazia nella CUB deve essere abbracciato nella sua più completa accezione. Democratico è quel sindacato che elegge i suoi organismi senza unanimismi di facciata, che contrasta nelle aziende modelli di potere autocratici e che nella società punta a promuovere un riequilibrio dei poteri a favore dei ceti popolari. Come ci ha insegnato Piergiorgio Tiboni “non ci può essere democrazia nella società, se non c’è nelle aziende”. Un ulteriore elemento di distinzione della CUB, è quello di considerare non sufficienti modifiche economiche (migliorative) nel rapporto di lavoro, ma di spingersi per una rimessa in discussione dell’organizzazione capitalistica del lavoro nella fabbrica e nella società.
  • internazionalismo e solidarietà di classe. In una economia sempre più interconnessa, tanto nella sua dimensione finanziaria quanto nella sua dimensione produttiva, il ruolo del sindacato è quello di guardare oltre le frontiere nazionali per promuovere forme di azione coordinata tra i diversi proletariati nazionali. In aggiunta, in questi anni, ci troviamo di fronte ad una composizione della classe lavoratrice sempre più multi-etnica. Questa tendenza, alimentata dalle migrazioni internazionali, siamo sicuri sia destinata a crescere ed è per questo motivo che la CUB ha sempre lottato contro ogni atteggiamento, teorico e pratico, di chiusura “nazionalistica”. Dobbiamo imparare, per essere al passo con i tempi, a sviluppare un punto di vista in grado di valorizzare la nuova morfologia della classe lavoratrice su scala internazionale che tenga presenta la sua complessa articolazione con il genere e la razza.
  • femminismo. La rivoluzione delle donne interroga il movimento operaio con un punto di vista peculiare che, per molti anni, non è stato debitamente preso in considerazione. Il femminismo che, però, la CUB punta a rappresentare non è quello liberale delle “donne manager” o quello delle “quote rosa nei consigli di amministrazione”. Il “nostro” femminismo è quello delle donne lavoratrici (di ogni provenienza geografica) che vogliono battersi per una trasformazione radicale della società patriarcale e capitalistica. In questo senso, la CUB si impegna a promuovere la piena partecipazione delle compagne negli organismi dirigenti e nei dibattiti sulle linee organizzative/politiche. Il loro punto di vista non può che completare la ricchezza del nostro dibattito interno.
  • ecologismo. La crisi ecologica ed il cambiamento climatico sono oggi i due principali fattori che rischiano di trascinare l’intera umanità sul dirupo. Entrambi questi fenomeni non sono da attribuire esclusivamente a “cattivi comportamenti individuali” o a “stili di vita non sostenibili”, ma ad un sistema di produzione e di consumo della ricchezza sociale che si fonda sul profitto privato. Su questo punto dobbiamo essere chiari il colpevole si chiama: modo di produzione capitalistico. I piani di ristrutturazione produttiva globale, sostenuti anche da pezzi del movimento ecologista mainstream, saranno totalmente inefficaci proprio perché non vogliono rimuovere le basi ultime di funzionamento di questo tipo di società. La CUB ha da lungo tempo abbracciato la lotta per porre fine alla crisi ecologica, con la consapevolezza che solo una messa in discussione dell’organizzazione capitalistica del lavoro ed una pianificazione realmente democratica attuata dai produttori associati potranno porre fine alla distruzione dell’ecosistema[10].

Manifestazione

[1] LAMA L., I sacrifici che chiediamo agli operai. Intervista a cura di E. SCALFARI, La Repubblica, 24 gennaio 1978.

[2] ROMAGNOLI G., Consigli di fabbrica e democrazia sindacale, G. Mazzotta, 1976.

[3] MATTEI G, MONTAGNOLI W., Il Coraggio di Volare. Per una storia della FIM – CISL di Milano, Edaco edizioni, 1987. Lo stesso argomento è tratto più in dettaglio in Tiboni, la FIM-Cisl e la fondazione della FLMUniti  e della CUB (https://cubmilano.org/tiboni-la-fim-cisl-e-la-fondazione-della-flmuniti-e-della-cub/).

[4]  TORNEO C., Il sindacalista d’assalto – Pierre Carniti e le lotte operaie degli anni sessanta, SugarCo Edizioni, 1976; BAGLIONI G., Il sindacato dell’autonomia. L’evoluzione della CISL nella pratica e nella cultura, De Donato, 1975; CELLA G. P. e MANGHI B., Dall’associazione alla classe. Una interpretazione della esperienza Fim-Cisl nel decennio ’60, De Donato, 1972; FIM-CISL, a cura di, Per un sindacato di Classe, Sapere Edizioni, 1972.

[5] TIBONI P., Il Coraggio di Volare. La CUB: venticinque anni di storia del sindacato di base, Guerini e Associati, 2015, p. 118.

[6] VASAPOLLO L., Storia di un capitalismo piccolo piccolo, Jaca Book, 2008.

[7] Questa evoluzione è particolarmente celebrata, in rapporto alla diminuzione del peso politico e contrattuale del sindacato, da un autore – di area cislina – come Paolo Feltrin (per apprendimenti: Il fenomeno sindacale nell’Italia contemporanea: declino “politico” e ascesa di “mercato”).

[8] CARNITI P., Per l’unità della Classe (1972), in L’autonomia alla prova. Il sindacato negli anni della crisi, Coines Ed., 1977, pp. 60 e ss.

[9] Per capire come si può articolare contrattazione e conflitto in una società capitalistica matura non possiamo non rimandare al testo classico di PERLMAN S., Per una teoria dell’azione sindacale, La nuova Italia, 1956, e alla introduzione a firma di GIUGNI G. La prospettiva, a tratti “apolitica”, di Perlman deve essere arricchita dalle riflessioni di quei filoni di ricerca che si sono sforzati di superare delle concezioni economicistiche e fatalistiche del marxismo e a quelle esperienze teologiche che, più direttamente, hanno letto il messaggio evangelico in chiave pratica e critica.

[10] La problematica ecologica, la nostra organizzazione, ha avuto il piacere di scoprirla sul concreto terreno della lotta sindacale in particolare per quanto riguarda le vicende dello stabilimento dell’Alfa Romeo di Arese (AA.VV., Appunti sul lavoro di fabbrica, Franco Angeli, 1981; LUCARINI L., Una storia ecologica, Franco Angeli, 1998; PARIANI C., C’era una volta l’Alfa, La Mano, 2018).

 

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