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ECONOMIA DI GUERRA, INFLAZIONE E RISTRUTTURAZIONI PRODUTTIVE COME CONTRASTARE L'ATTACCO AL MONDO DEL LAVORO?

INTERVIENE PROF. JOSEPH HALEVI

INTRODUZIONE

Sono passati esattamente due anni da quando la nostra Organizzazione Sindacale decise di organizzare un ciclo di seminari per indagare quali potevano essere le prospettive economiche nazionali ed internazionali dopo la fine della crisi pandemica. In quel momento, quello che ci sembrava che stesse avvenendo era una parziale correzione (in senso più espansivo) dell’impostazione seguita dai gruppi dirigenti europei per gestire una rapita fuoriuscita dai lockdown forzati imposti in gran parte del continente europeo.

Infatti si arrivò al varo di un ingente piano di investimenti sovrannazionali, il cosiddetto Next Generation EU – che nel nostro paese ha preso la sigla di P.N.R.R.- con lo scopo di imporre una ristrutturazione produttiva continentale, legata alla nuova retorica dominante “green” ed a quella della digitalizzazione.

Ai facili entusiasmi di quei mesi, noi opponemmo, al contrario, l’ipotesi che il rilancio dell’accumulazione capitalistica (dopo due anni pandemici terribili in termini di vite umane ed attacco alle agibilità sindacali sui luoghi di lavoro) avrebbe portato con sé delle maggiori possibilità di azioni rivendicative per il modo del lavoro. Dopo una brevissima ripresa dell’economia mondiale, però, ci svegliammo, il 24 Febbraio 2022, con le immagini dei carri armati russi che sfondavano il confine ucraino orientale e che riportavano, dopo la disgregazione jugoslava, la guerra nel cuore della Vecchia Europa.

Per onestà intellettuale, dobbiamo dire che, da un lato, la disarticolazione delle catene produttive e, dall’alto, l’iniezione di denaro per salvare un sistema in crisi avevano già fatto affiorare alcuni problemi, in particolare l’inizio di una crescita dei prezzi, che nel 2021, non a caso, approfondimmo con i nostri relatori. Ad ogni modo, oggi siamo convinti che il confronto militare tra Federazione Russa e NATO (a trazione statunitense) rappresenti un notevole acceleratore degli effetti economici negativi vissuti dalla classe lavoratrice sul piano internazionale – altro che l’avvento di un “mondo multipolare” pacifico che viene teorizzato anche alle nostre latitudini.

Tre sono, a nostro modo di vedere, le evoluzioni che dobbiamo ancora approfondire:

1) in primo luogo, con il conflitto ucraino, stiamo assistendo al ricompattamento di un mondo a “blocchi”.

Vi è una scarsità di approvvigionamenti causati dai blocchi dei porti e dalle enormi distanze che le merci devono percorrere lungo “choke points” – cioè passaggi stretti e facilmente controllabili – a volte imprevedibili o vicini a paesi ostili.

prodotti maggiormente colpiti sono stati solo in parte prodotti finiti o semilavorati ma in larga parte sono materie prime fondamentali. Tutto ciò probabilmente, influirà sulla forma attuale della globalizzazione, in particolare per la necessità di riportare le “catene del valore”, rivelatesi troppo lunghe e insicure, a condizioni più controllabili, vale a dire accorciandole e ri-orientandole verso paesi fidati e fedeli: il cosiddetto friend-shoring

 

2) In seconda battuta, vediamo che la necessità di finanziare la guerra già porta con sé il forte ritorno dello Stato in economia, ma da “destra”, cioè nella forma di un “keynesismo militare” legato al complesso-militare industriale. Si tratta di un processo destinato ad approfondirsi, anche in forma autoritaria, con il perdurare del conflitto e la conseguente necessità di garantire approvvigionamenti di armi e munizioni al fronte.

Pensiamo, tanto per fare degli esempi, alla crescita esponenziale del fatturato di una azienda come Leonardo spa, colosso italiano leader nei settori della difesa, aerospazio e sicurezza, partecipata al 30% dallo Stato Italiano, e che ha chiuso il bilancio 2022 con un risultato netto a 932 milioni, in crescita del 58,5% e soprattutto con un aumento degli ordini del 21%!.

Pensiamo alla creazione di un “nuovo fondo per la difesa” di 100 miliardi di euro, varato dal cancelliere tedesco Sholz solo qualche giorno dopo l’invasione dell’Ucraina; oppure il costante aumento delle spese militari del nostro paese, di oltre 28 miliardi nel 2022, ma che secondo l’ex ministro della difesa del governo Draghi, Lorenzo Guerini, dovranno arrivare progressivamente a 38.

Nel corso di un recente summit sulla difesa europea, il commissario UE al mercato interno Thierry Breton ha dichiarato che è ora che l’Unione Europea passi “alla modalità economia di guerra… accelerando non solo la spesa militare, ma anche la capacità di produzione di armi, munizioni e mezzi”; gli ha fatto eco, con dichiarazioni con gli stessi contenuti, Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e le politiche di sicurezza. E’ stimato, infine, che i paesi dell’UE spenderanno non meno di 70 miliardi di euro per aumentare le loro capacità di difesa nei prossimi tre anni.

3) il terzo punto sono invece i costi economici di una inflazione alle stelle. L’impennata dei prezzi dell’energia, l’interruzione delle catene del valore, le difficoltà relative all’approvvigionamento di vari prodotti alimentari, hanno fato sì che le imprese invece di assorbire i maggiori costi riducendosi i margini di guadagno, li scaricassero sui cittadini facendo aumentare i prezzi di beni e servizi. E’, quindi, come ha ben osservato nei suoi lavori il professor Halevi, una “inflazione da profitti”.

Nonostante ciò saranno sempre i salariati a pagare, con un taglio dei propri diritti e un congelamento di qualsivoglia forma di reale contrattazione salariale. Il “Decreto Lavoro”, varato dal governo Meloni, è esemplificativo di questa tendenza, perché è una iniezione di flessibilità in favore delle imprese a costo zero, cioè senza che queste ultime tirino fuori neanche una lira. Da luglio 2023 ci sarà un piccolo aumento degli stipendi in busta paga, semplicemente perché viene ridotta la quota di contributi INPS e spostata sul salario. Vengono inoltre allargate le maglie per fare ricorso ai contratti a termine, abolito il Reddito di Cittadinanza, e favorito il ricorso alla “ritenuta d’acconto” nel turismo e nell’agricoltura. Insomma, vengono aumentati i margini di ricattabilità dei lavoratori e dei disoccupati.

Anche nei pochi recenti rinnovi contrattuali, gli aumenti salariali si stanno dimostrando miseri. Forse l’esempio più vergognoso è quello del CCNL Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari dove, nonostante ci siano più sentenze della magistratura del lavoro che dichiarano incostituzionale lo stipendio dei Servizi Fiduciari, perché è talmente basso che non consente ai lavoratori di avere un’esistenza libera e dignitosa, CGIL CISL UIL sono riuscite a siglare un ipotesi di rinnovo di 0,28 cent. all’ora. 

Nel settore Metalmeccanico ci sarà probabilmente l’aumento salariale più alto perché legato ad un meccanismo automatico e sarà di 123 €. Questi sono comunque inadeguati a recuperare l’inflazione reale, perché legati all’indice IPCA che è inferiore all’inflazione reale, dato che il peso per detrarre la dinamica dei prezzi energetici importati è stato del 2,9%.

In molti tavoli, le associazioni datoriali hanno espressamente detto che non vogliono dare aumenti consistenti giustificandosi con l’impennata dei prezzi dell’energia e di alcune materie prime a causa delle tensioni geopolitiche. Abbiamo fatto un webinar, qualche settimana fa, proprio per denunciare che nel Commercio e nella Grande Distribuzione gli oltre 4 milioni di lavoratori di questi settori si trovano proprio in questa situazione!

 

A poco serviranno, dunque, le politiche monetarie restrittive della BCE se non ad aggravare ancora di più la situazione deprimendo gli investimenti, riducendo la domanda aggregata, aumentando la disoccupazione ed accrescendo le diseguaglianze sociali. Questo scenario è recentemente sintetizzato da Mario Draghi in una sua conferenza al MIT. Da una parte richiama la necessità del rilancio della “guerra esterna”, con un probabile rafforzamento del coordinamento militare dei paesi europei, chiaramente sempre in maniera subalterna alla NATO. Dall’altra, il rilancio della “guerra interna”, utilizzando anche possibili politiche espansive ma sempre e comunque per favorire i margini di profitto delle imprese e di utilizzazione flessibile dei lavoratori.

Per questo riteniamo necessario cercare di riportare al centro del dibattito un punto di vista e una piattaforma autonoma del mondo del lavoro, che si dovrebbe articolare lungo alcune parole d’ordine:

per ciò che riguarda la politica estera il rifiuto netto e con ogni mezzo della guerra e all’invio di armi insieme alla spinta verso una decisa azione diplomatica che ponga fine al conflitto; sul fronte della politica interna: ritornare ad una tassazione fortemente progressiva, un adeguamento dei salari all’inflazione con la reintroduzione della scala mobile, contro ogni insulso indice IPCA; una riforma degli ammortizzatori sociali che parta dall’universalità dei trattamenti e la difesa del reddito garantito ai disoccupati; una rigida regolamentazione del lavoro a termine e l’abolizione dei contratti precari; una legge realmente democratica sulla rappresentanza sindacale e sull’efficacia erga omnes dei contratti collettivi; investimenti nella messa in sicurezza del territorio e delle infrastrutture esistenti; forti investimenti pubblici in servizi sociali e il rilancio di una politica di piano sotto il controllo dei lavoratori delle lavoratrici.

Per approfondire queste ed altre tematiche abbiamo invitato Joseph Halevi che, oltre ad essere professore onorario della Macquarie University di Sydney, è uno dei più illustri studiosi critici del nostro paese.