Bandiere CUB Milano

Tiboni, la FIM - CISL e la fondazione della FLMUniti e della CUB

In occasione del sesto anniversario della scomparsa di Piergiorgio Tiboni abbiamo ritenuto doveroso ripubblicare un nostro saggio pubblicato nel marzo del 2021

In occasione del sesto anniversario della scomparsa di Piergiorgio Tiboni abbiamo ritenuto doveroso ripubblicare, in versione aggiornata, un nostro saggio pubblicato nel marzo del 2021 su quello che fu il sito nazionale del nostro sindacato per celebrarne il quarto anniversario della scomparsa. Da quei giorni, quanta acqua è passata sotto ai ponti! Ai più, non potranno non balzare agli occhi le profonde differenze di impostazione sindacale che esistono tra quel breve testo celebrativo e la prassi odierna che qualcuno vorrebbe imporre alla Nostra Organizzazione. Non solo in quell’occasione veniva ribadita l’originalità della nascita della Flmuniti prima e della CUB poi, che traeva origine dall’esperienza del cosiddetto “sindacato dei consigli”, ma cercava di indicare anche quali valori hanno caratterizzato, fin dall’origine, il nostro agire quotidiano. In vista della prossima Assemblea Nazionale è necessario rivendicare con forza quelle intuizioni e la loro attualità, contro chi vorrebbe trasformarci in un sindacato di mediazione, i cui obiettivi diventano solo di poter godere di qualche inutile privilegio, subendo le regole del padronato e di CGIL-CISL-UIL, oppure di far sopravvivere un apparato burocratico diventando dei semplici erogatori di servizi fiscali e assistenziali alla cittadinanza.

Il nostro Azimut, invece, dovrebbe essere il rilancio di un progetto sindacale che sappia collegare il conflitto e la contrattazione all’interno di un progetto più generale di ricomposizione del lavoro salariato e di sua emancipazione dal capitale. Come i “vecchi” probiviri della FIM nazionale provarono a piegare la resistenza del gruppo dirigente milanese alla fine degli anni ’80, così oggi il progetto di normalizzazione del nostro sindacato e di sua omologazione al modello dominante, non poteva che partire dall’attacco rabbioso contro la dirigenza di Milano, sino alla damnatio memoriae dei trent’anni delle storie di lotta della CUB con la cancellazione di tutto l’archivio del vecchio sito online, per far posto a un suo surrogato fashion, senz’anima nè storia sindacale.

Piergiorgio Tiboni parla durante una assemblea agli operai

PIERGIORGIO TIBONI: DALLA FIM-CISL ALLA FLMUniti-CUB

Come è consuetudine della nostra organizzazione, l’anniversario della morte di Piergiorgio Tiboni, avvenuta il 18 Marzo 2017, è l’occasione per tornare a riflettere sulle vicende, passate e presenti, che hanno coinvolto la CUB fin dalla sua nascita. Questa opportunità è diventata, con il passare del tempo, sempre più impellente a fronte del fatto che oggi siamo chiamati a muoverci in uno scenario sociale, politico ed economico in continua trasformazione. In questa situazione, la sua mancanza deve tramutarsi in uno stimolo per cercare collettivamente nuove soluzioni a problematiche inesplorate.

La critica all’organizzazione capitalistica del lavoro e della società sono ambiti di ricerca e di storia del movimento operaio ormai dimenticati nelle pubblicazioni e nel mondo della cultura dominate. A discapito di questa rimozione, vi è stato un periodo storico, tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, nel quale le riflessioni sulla natura del neo-capitalismo italiano furono ampiamente utilizzate per contestare tanto l’organizzazione della fabbrica fordista, basata sulla rigida applicazione dei principi tayloristici[1], quanto il potere del capitale sulla società. Di questa ripresa fu sicuramente porta-bandiera la Fim-Cisl[2]. In quel decennio, infatti, l’organizzazione dei metalmeccanici cattolici fu quella maggiormente in grado di interpretare, sotto la direzione – prima milanese poi nazionale – di Pierre Carniti[3], le nuove richieste di una giovane classe operaia giunta nelle metropoli industriali del Nord Italia, attraverso duri percorsi migratori, prevalentemente dalle campagne del Meridione. La caratteristica innovativa di questa organizzazione sindacale fu la capacità di saldare ad una conflittualità diffusa nei processi produttivi una linea sindacale classista basata sul valore dell’autonomia (che non fu mai confusa con una presunta apoliticità dell’azione sindacale), dell’egualitarismo salariale e sulla riscoperta di forme di lotta consiliari e radicalmente democratiche[4]. Tutto ciò, permise agli operatori sindacali fimmini di mescolare, più o meno consapevolmente, i capisaldi della scuola contrattualistica del Wisconsin (attraverso la mediazione della figura di Selig Perlman[5]), il messaggio evangelico rilanciato dalle encicliche sociali ed una cultura di origine neo-marxista (tanto per fare degli esempi possiamo ricordare i contributi di Raniero Panzieri o quelli della Scuola di Francoforte)[6]. Come scrivevano Mariano Regini ed Emilio Reyneri, la strategia sindacale della Fim-Cisl si poteva qualificare come il tentativo, più ambizioso nel panorama sindacale dell’epoca, di ripensamento e di imposizione di una diversa forma di organizzazione del lavoro alternativa e contraria a quella padronale. Il risultato finale di questo sforzo, sarebbe dovuto essere quello di promuovere una progressiva disalineazione del lavoro operaio, rifiutando al contempo forme di cogestione o di cooptazione subalterna delle rappresentanze sindacali dei lavoratori[7]. In questo senso, la critica alle ideologie «oggettivistiche» del progresso tecnologico, proprie di tutte le organizzazione tradizionali del movimento operaio italiano del Novecento, e l’attenzione alle concrete iniziative di lotta avanzate dai lavoratori nei luoghi di lavoro, in particolar modo nella grande fabbrica, non potevano non divenire patrimonio genetico di questa organizzazione[8]. A proposito delle tematiche appena richiamate è importante ricordare anche come ad una concezione positiva del conflitto sociale (in quanto contraria ad ogni teoria del crollo improvviso e spontaneo o fatalistico del capitalismo) si associava la ricerca di una continua contrattazione su ogni aspetto delle condizioni di lavoro e di vita dell’operaio. Solamente in questo modo, la forza contrattuale conquistata dalla classe operaia nei luoghi della produzione seppe rompere i ristretti argini delle mura delle imprese capitalistiche per intercettare bisogni sociali più generali quali migliori servizi pubblici, abitazioni accessibili e più confortevoli, la questione ambientale, di genere e così via[9].

Ad ogni modo, però, i venti gelidi della normalizzazione politica e sindacale del movimento operaio italiano trovarono, dal 1973 in avanti, un valido alleato non solamente nella crisi economica, che da lì a pochi anni avrebbe complessivamente ribaltato i rapporti di forza tra le classi nei paesi occidentali e nello scenario internazionale[10], ma anche nell’arrendevolezza dei rispettivi gruppi dirigenti nazionali che non seppero o – per meglio dire – non vollero sottrarsi ad un processo di progressiva burocratizzazione ed istituzionalizzazione delle rispettive organizzazioni sindacali e politiche[11]. In questo contesto, una delle poche personalità di rilievo nazionale che, nel corso degli anni Ottanta, seppe costruire e praticare una coerente alternativa alla deriva concertativa e moderatrice del conflitto di classe nel nostro paese fu Piergiorgio Tiboni, il quale, non a caso, subì, insieme a tutto il suo gruppo dirigente milanese, prima un pretestuoso procedimento disciplinare per «lesa maestà» nei confronti del gruppo dirigente nazionale della Fim-Cisl e poi una vera e propria espulsione dall’organizzazione[12]. Quest’ultima data, infatti, potrebbe essere considerata come il punto finale di un processo di progressiva «normalizzazione» delle tre maggiori single sindacali dei lavoratori metalmeccanici nel nostro paese[13].

Da questo punto vista, l’opposizione alla svendita dell’Alfa-Romeo alla FIAT, accettata dai vertici confederali, fornì l’occasione per creare ad arte una rottura insanabile che si risolse definitivamente solamente con la cacciata del più “eretico” tra i dirigenti fimmini. Da questa data, partì, contro ogni aspettativa, la storia della nostra confederazione sindacale che, fin dalla sua origine, provò ad offrire una sponda ad un processo di ricomposizione del movimento operaio italiano su posizioni federaliste, autonomiste, classiste e conflittuali[14].

A fronte di quanto appena ricordato, questo breve saggio non vuole fermarsi, però, ad una semplice rievocazione storica di un passato più o meno glorioso, ma vorrebbe provare, sulla base di quella esperienza, a discutere una serie di questioni che riteniamo fondamentali per il presente e per il futuro della nostra organizzazione sindacale, che trova, non casualmente, la sua origine proprio nella militanza «eretica» di Piergiorgio Tiboni e del gruppo dirigente milanese della Fim-Cisl.

In primo luogo, non si può non partire dall’importanza, per la preservazione della natura conflittuale della CUB, del valore dell’autonomia del sindacato dai padroni, dai partiti e dai governi. Questo aspetto, infatti, dimostra come solamente rifiutando qualsiasi logica di subordinazione gerarchica dell’azione sindacale a quella partitica si può rivendicare una difesa intransigente e coerente degli interessi dei lavoratori, tanto nei luoghi di lavoro quanto nella società[15]. Inoltre, la pratica dell’autonomia del sindacato è il solo strumento che può rendere possibile un avanzamento della coscienza politica dei lavoratori senza il riprodursi di una deteriore ideologia di avanguardia legata a questo o a quel «capo» politico, più o meno presente sui principali mass-media.

In secondo luogo, il valore dell’autonomia del sindacato si intreccia indissolubilmente con quello della democrazia che deve orientare l’azione della nostra organizzazione sia nei confronti delle controparti datoriali ed istituzionali (ricordiamo che una delle principali richieste della CUB è una legge realmente democratica sulla rappresentanza sindacale) sia nella composizione, a tutti i livelli, degli organismi interni del nostro sindacato (dal momento che solo il più ampio dibattito democratico può produrre una autentica sintesi collettiva, cioè contraria a qualsiasi forma di unanimismo di facciata).

In terzo luogo, l’esperienza storica dalla Fim-Cisl, ma anche quella più recente della CUB, dimostra come solamente una radicata presenza nei luoghi di lavoro – fatte le dovute distinzioni di epoca storica – permette di pensare un progetto alternativo in grado di contrastare efficacemente il potere del capitale in ogni sua dimensione. A questo proposito, infatti, bisogna rendersi conto di come i rapporti di sfruttamento e di subordinazione iniziano a costruirsi dopo aver varcato i cancelli delle aziende o le porte degli uffici per poi generalizzarsi nella società capitalistica. Ribadire questo principio, contro ogni ipotesi di «sindacalismo metropolitano»[16] o ridotto a puro erogatore di servizi per i suoi iscritti, non costituisce una rivendicazione nostalgica del passato, ma vuol dire avere la certezza che un sindacato classista, democratico e conflittuale potrà svolgere adeguatamente il suo compito, cioè lottare per l’emancipazione dei lavoratori salariati, solamente se sarà in grado di coinvolgere questi ultimi a partire dai luoghi di produzione, di immagazzinamento, di trasporto e di consumo delle merci. Qualsiasi progetto di trasformazione sociale sarebbe votato inevitabilmente al fallimento se non fosse in grado di modificare, in maniera complessiva, i rapporti di forza, a favore dei lavoratori, in tutte queste singole sfere. Dunque, compresa in questi termini, la centralità del radicamento nei luoghi di lavoro non potrà, in nessun modo, scadere in derive corporative delle singole categorie o dei singoli gruppi.

Infine, l’ultimo insegnamento, che possiamo trarre dalle vicende storiche a cui ci ricolleghiamo, è l’internazionalismo delle lotte contro ogni chiusura nazionalistica. Questo nostro richiamo non ha un contenuto astratto o moralistico, ma trae forza dalla presa d’atto dalle evoluzioni più recenti del modo di produzione capitalistico e delle imprese capitalistiche[17]. Non solamente abbiamo di fronte a noi il mercato mondiale, ma anche la struttura delle aziende ha assunt ouna dimensione compiutamente trans-nazionale (un esempio abbastanza intuitivo di questa tendenza potrebbe essere quello di Stellantis, nata dalla fusione di FCA e PSA)[18]. In questo modo, ieri come oggi, la CUB è chiamata, sempre di più, ad adeguare le sue azioni di lotta al livello di scontro che impongono le controparti. Ovviamente, questa consapevolezza non ci porta a ritenere ininfluente la dimensione nazionale (tanto che l’elaborazione del piano di azione della nostra organizzazione si pone principalmente a questo livello), ma ci impone di valutare, in maniera sempre più approfondita, l’intersecarsi dei diversi livelli a cui si svolge il conflitto di classe. In questo senso, se ci attardassimo ancora su strade di retroguardia saremo destinati alla sconfitta.

Giunti alla conclusione, è possibile sintetizzare in quattro punti i valori che la CUB eredita dal suo passato e che è chiamata, in questa nuova fase, ad aggiornare: l’autonomia, la democrazia, il radicamento sui luoghi di lavoro e l’internazionalismo. In estrema sintesi, sono queste le stelle polari che devono guidare la crescita e lo sviluppo della nostra organizzazione sindacale. Solamente se saremo all’altezza di questo compito, potremo sia contrastare l’offensiva che il padronato, da circa quattro decenni, sta portando avanti nel nostro paese, sia rilanciare una piattaforma con il fine di favorire una generale ricomposizione di un mondo del lavoro sempre più precario, atomizzato e frammentato[19].

[1]L’organizzazione scientifica del lavoro,Frederick W. Taylor, 2004 – Etas;

[2]Per un sindacato di classe, a cura della Fim-Cisl, 1972 – Sapere Edizioni;

[3]Il sindacalista d’assalto Pierre Carniti e le lotte operaie, a cura di Claudio Torneo, 1976 – Sugarco;

[4]Il sindacato dell’autonomia. L’evoluzione della Cisl nella pratica e nella cultura, Guido Baglioni, 1975 – De Donato

[5]Ideologia e pratica dell’azione sindacale,Selig Perlman, 1956 – La nuova Italia;

[6] A questo proposito, Gian Primo Cella e Bruno Manghi scrivevano:«non è facile determinare con chiarezza l’«ideologia» che andava prendendo piede tra i quadri e i dirigenti della Fim. (…) Piuttosto se c’è stata una lettura fatta da pochissimi quadri, ma indirettamente giunta a molti, si tratta di Ideologia e praticadell’azione sindacaledi Selig Perlman e dell’introduzione molto importante del Giugni. (…) In termini chiari il Perlman celebra la potenza trasformatrice della lotta operaia, ne esalta la componente istintiva e pragmatica, l’autonomia rispetto alle ideologie di partito e agli intellettuali, indica una terza via che respinge il marxismo senza cadere nelle braccia dei padroni. (…) Parallelamente, un settore importante dei quadri Fim e cioè quanti provenivano da un’esperienza attiva nelle associazioni religiose, era influenzato dalla dialettica interna che prendeva a manifestarsi anche alla base del mondo cattolico italiano. Le encicliche sociali non potevano più rappresentare una fonte viva di ispirazione quotidiana. Il loro ruolo era stato quello di rendere legittimo ai cattolici occuparsi attivamente dei problemi sociali esorcizzandoli nel contempo contro le tentazioni del socialismo rivoluzionario (…). L’ultima acquisizione «ideologica» è la tendenza egualitaria, la non accettazione (di tendenza s’intende) della logica del mercato del lavoro e quindi della divisione capitalistica del lavoro e dell’attuale modo di produzione. È chiaro che a questo non si sarebbe giunti se la Fim e la nuova Cisl non si fossero aperte negli anni dell’unità d’azione ad alcuni elementi fondamentali della concezione marxista. Non si è trattato ovviamente di un processo di conversione o di confluenza, ma del fatto che soltanto ricorrendo ad alcuni principi d’analisi marxista (e avendo il coraggio di chiamarli con il loro nome) si sono potute intendere contraddizioni e problemi coi quali la crescente attività del sindacato veniva a scontrarsi. (Cella Manghi -Dall’associazione alla classe. Una interpretazione della esperienza Fim-Cisl nel decennio ‘60 – De Donato, 1972)

[7] Lotte operaie e organizzazione del lavoro, Mariano Regini & Emilio Reyneri, 1974 – Marsilio Editori;

[8] Lotte operaie nello sviluppo capitalistico,  Raniero Panzieri,1976 – Piccola biblioteca Einaudi;

[9]Dall’«assalto al cielo» all’«alternativa». oltre la crisi del movimento operaio europeo, Alain Bihr, 1998 – BFS edizioni;

[10]La crisi della modernità, David Harvey, 2015 – il Saggiatore; L’imperialismo globale e la grande crisi, Ernesto Screpanti , 2013 – DEPS;

[11]Intervista a Luciano Lama, a cura di Eugenio Scalfari, 24 gennaio 1978 – La Repubblica;

[12]Il coraggio di volare. la Cub: venticinque anni di storia del sindacato di base, Piergiorgio Tiboni, 2015 – Guerini e Associati; Cinzia Sasso, “Quello di Tiboni non è dissenso, è solo dileggio”, La Repubblica, 07.17.1987

[13]Una opinione per certi versi complementare alla nostra, è quella di Antonio Moscato il quale, in riferimento al decennio 1960-1970, ha scritto che:“l’ondata di radicalizzazione iniziata nelle lotte aziendali del 1967 mutò per qualche tempo anche la CISL, dunque (d’altra parte aveva trasformato perfino gli scout cattolici, che in gran numero aderirono a Lotta Continua…), ma non la sua natura: vi fu poi una brusca frenata appena possibile, dopo i primi segnali di riflusso. Il dirigente della FIM milanese che aveva incarnato il rinnovamento, Piergiorgio Tiboni, fu prima osteggiato, poi espulso, e ancor prima era stato espulso (con tutto il gruppo dirigente centrale della UILM) anche Giorgio Benvenuto, a quell’epoca verbalmente barricadiero e attento a cooptare dirigenti di provenienza gruppettara (soprattutto maoisti del MLD della Statale)”.

[14] C’era una volta l’Alfa, 2018 – La Mano;

[15] Per approfondimenti: Oltre il Capitale, IstvánMészáros, 2016 – Edizioni Punto Rosso; Ricardo Antunes, Il privilegio della servitù, 2020 – Edizioni Punto Rosso; 

[16]Fabbrica territoriale e sindacato metropolitano, in Storia di un capitalismo piccolo piccolo Lo stato italiano e i capitani d’impresa dal ’45 ad oggi, Luciano Vasapollo, 2007 – Jaca Book; 

[17] La crisi capitalistica, la barbarie che avanza, Riccardo Bellofiore, 2012 – Asetrios; La crisi globale, l’Europa, l’euro, la sinistra, Riccardo Bellofiore, 2012 – Asterios;

[18]Produzione globale, lavoro e strategia sindacale: alcune riflessioni a partire dalla teoria delle catene globali del valore, Lidia Greco, 2011 –  Sociologia del Lavoro, n. 123;

[19]Il lavoro e i suoi sensi affermazione e negazione del mondo del lavoro, Ricardo Antunes, 2016 – Edizioni Punto Rosso;