Non c’è salario minimo senza contrasto alla precarietà: dubito che questo governo s’impegni
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Perché si discute di salario minimo? Nella nostra Costituzione, l’art. 36 stabilisce che la retribuzione garantisca un’esistenza libera a dignitosa a ciascun individuo e alla propria famiglia; al di là di ogni considerazione giuridica, il tema è ancora più evidente per la diffusione del cosiddetto working poor; se si aggiunge, infine, l’inflazione – che diminuisce il potere d’acquisto dei salari – la questione dovrebbe essere al centro non solo del dibattito, ma dell’agenda politica.
Come è noto, la Direttiva Ue sul salario minimo è stata approvata dal Parlamento europeo lo scorso 14 settembre; gli Stati membri dovranno recepirla entro il 15 novembre 2024, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione, in particolare l’adeguatezza dei salari minimi per i lavoratori al fine di contribuire alla convergenza sociale verso l’alto e alla riduzione delle diseguaglianze retributive.
Gli Stati membri potranno utilizzare gli strumenti più adatti al loro contesto giuridico, sociale ed economico; la Direttiva ribadisce il ruolo dell’autonomia collettiva in tema di salario minimo: gli Stati che presentano una copertura della contrattazione collettiva pari all’80% non hanno l’obbligo di introdurre il salario minimo mediante una legge.
In Italia, secondo il parere di diversi economisti, la copertura della contrattazione collettiva è superiore all’80%, a dimostrazione che le organizzazioni sindacali confederali continuano a garantire una tutela effettiva alle lavoratrici e ai lavoratori, seppur non può essere taciuta la presenza dei cosiddetti contratti “pirata” che, seppur numericamente inferiori, hanno comunque delle conseguenze negative per il sistema della contrattazione in generale perché favoriscono una politica di pressione verso il basso dei salari e delle condizioni lavorative; inoltre, rappresentano il fenomeno di un pluralismo associativo – anche in ambito datoriale – poco regolato e che richiederebbe, invece, una regolamentazione con una legge sulla rappresentanza.
La discussione sul salario minimo legale dovrebbe poi partire da una considerazione: consideriamo il trattamento economico minimo (TEM) o il trattamento economico complessivo (TEC)? Secondo alcuni autorevoli pareri il tema dovrebbe essere affrontato considerando alcuni istituti parte del TEC: le mensilità aggiuntive (tredicesima e quattordicesima), il rateo di TFR, l’eventuale garanzia retributiva che agisce in assenza di contrattazione di secondo livello.
Se si considerano i principali Ccnl delle categorie del settore privato, tredici prevedono una paga oraria – riferita al TEC della categoria più bassa di ogni specifico inquadramento professionale – superiore ai 9 euro, soglia a cui farebbe riferimento la discussione sul tema: Credito cooperativo, Alimentari industria, Agricoltura/ Zootecnia, Trasporti/Autorimesse, Chimica industria, Metalmeccanica industria, Lapidei, Gomma/Plastica, Terziario Confcommercio, Turismo Confindustria, Alimentari aziende artigiane, Poligrafici/Industria della carta, Edilizia; non superano invece la soglia, tra gli altri: Terziario/Cooperative sociali, Tessili/Abbigliamento, Agricoltura operai agricoli e florovivaisti, Terziario/Vigilanza privata.
I temi della contrattazione collettiva e di una salario adeguato sono complessi e articolati e non possono prescindere dalla discussione sulla modifica delle norme sul mercato del lavoro, per contrastare la precarietà e l’utilizzo sempre maggiore di contratti non standard, e dal tema relativo al potere d’acquisto dei salari, inadeguato a contrastare i fenomeni inflattivi.
I provvedimenti del governo Meloni in tema di lavoro vanno però in tutt’altra direzione: il DL n. 43 del 4 maggio 2023 (noto come decreto lavoro) non porta con sé alcuna forma di contrasto al lavoro precario, anzi: si estende l’uso dei voucher ad alcuni settori e si introduce per i contratti a termine l’ipotesi di una causale individuale; in buona sostanza, “soluzioni” di stampo neoliberista, con l’obiettivo di rispondere meglio alle esigenze del mercato del lavoro e delle imprese.
L’attribuzione di efficacia erga omnes ai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali più rappresentative costituirebbe certamente un punto di partenza efficace per orientare la discussione sul salario minimo; dubito però fortemente che l’attuale maggioranza parlamentare sia in grado di affrontare una discussione seria, misurata e compiuta su queste e sulle altre questioni del lavoro.