Bandiere CUB Milano

LA CUB DEVE RESTARE UN SINDACATO DI CLASSE

CUB MILANO

L’Assemblea nazionale (congresso) della nostra Confederazione è prevista per l’inizio del prossimo marzo e arriva in un momento particolarmente grave per i lavoratori nel nostro paese sia per lo scenario di guerra in cui siamo piombati sia per il pesante arretramento delle condizioni generali dei lavoratori frutto di decenni di attacco padronale agevolato dalla totale subalternità delle organizzazioni confederali.

Ci serve quindi un congresso vero, che ci consenta di fare quel salto di qualità necessario nella costruzione di quel sindacato conflittuale, democratico, indipendente che serve oggi ai lavoratori, con la consapevolezza che la struttura della CUB è quella di una confederazione costituita da una aggregazione di sindacati di categoria dotati di una propria autonomia.

La prima condizione per un congresso vero è quello quindi di una reale misurazione della consistenza delle varie categorie ma purtroppo ancora non si conosce la consistenza delle categorie e con quanti delegati queste parteciperanno al congresso. Ribadiamo che i dati degli iscritti non possono essere “autocertificati” dai territori o dai segretari ma, come votato dal Coordinamento nazionale e ribadito in più occasioni, devono essere verificati dalla commissione appositamente costituita e incrociati con le relative entrate bancarie.

Nel frattempo sono emerse alcune proposte di una parte del quadro dirigente intese a promuovere un grave snaturamento della natura conflittuale del nostro sindacato, che parte dalle strutture organizzative e approda alle linee di politica sindacale.

La difficile situazione in cui si trova il mondo del lavoro è evidente ma questo ci deve chiamare ad essere ancora più determinati nella costruzione di uno strumento sindacale di riflessione, proposta, organizzazione e lotta che sia realmente utile all’organizzazione della nostra classe nei luoghi di lavoro e nella società, ci deve spingere quindi a fare in modo che la nostra assemblea nazionale metta a punto un progetto in grado di stimolare le mobilitazioni e le lotte. Per questo scopo è necessario che non si vada ad una discussione congressuale rituale ma che si attivino reali spazi di dibattito e protagonismo dei lavoratori e delle lavoratrici affinché questi/e assumano il ruolo dirigente che gli spetta nella CUB. È necessario cioè che si dia forma concreta al nostro proclamarci “di base” e si superi l’immobilità di apparati che si autoperpetuano.

Nella CUB vi sono dei fondamentali nodi da affrontare ma per creare un reale cambio di passo dobbiamo evitare di degenerare in pratiche moderate, interclassiste e incentrate sul proliferare degli sportelli e di servizi di assistenza ai “cittadini”; di riduzione della democrazia interna e centralizzazione di risorse e decisioni. Poi dobbiamo concentrarci sulle nostre difficoltà e sugli errori che abbiamo commesso, per avviare una nuova stagione di partecipazione democratica, leale confronto tra opinioni diverse, protagonismo dei lavoratori nelle nostre strutture, organizzazione del conflitto sul lavoro e nella società.

 

Abbiamo parlato dell’intenzione di parte dei nostri dirigenti di modificare la natura della CUB e veniamo quindi alle loro proposte organizzative e politiche, che sono essenzialmente quattro:

  • l’accorpamento di alcune categorie con lo scopo di creare macroaggregazioni nei settori pubblico e privato;
  • la costituzione di una nuova categoria che rappresenti il mondo del lavoro destrutturato (Precari/Rdc/Disoccupati/Partite Iva ecc…,);
  • il riconoscimento di un ruolo sindacale, in particolare nella CUB Pensionati, al personale che lavora nei servizi;
  • la sottoscrizione dell’accordo tra Confindustria e CGIL-CISL-UIL del 10 gennaio 2014, noto come “Testo Unico sulla Rappresentanza” (TUR).

 

 

NO ALLA SVOLTA MODERATA

 

NO All’accorpamento forzato delle categorie. Se si attuasse la proposta di  “accorpamento” illustrata, la CUB cesserebbe di essere una vera confederazione virando verso il modello sindacale scelto da altri, come USB o SGB. Quella che fu una delle ragioni che portarono alla separazione tra CUB ed RdB verrebbe ora negata senza peraltro giungere ad una ricomposizione tra sigle sindacali. Tra l’altro è facilmente comprensibile che mettere insieme tutta o gran parte dell’industria o del pubblico impiego porterebbe a dover articolare queste macrocategorie in comparti che possano affrontare le specificità dei singoli settori di lavoro. Non vi sarebbe quindi un reale vantaggio organizzativo ma solo una maggiore possibilità di controllo verticale perché si accentrerebbero le risorse finanziarie e le strutture dirigenti.

Non escludiamo a prescindere la possibilità di aggregazioni tra federazioni, ma le  fusioni a tavolino, calate dall’alto, non servono a nulla perchè il raggruppamento di federazioni di categoria ha un senso se e quando nasce come necessità espressa dalle stesse, perché vi riconoscono la possibilità di perseguire intenti e percorsi omogenei.

 

NO ad una categoria che raggruppi precari, Rdc, disoccupati, partite Iva, ecc… Prendere atto del fatto che i capitalisti hanno attuato una profonda frammentazione del mondo del lavoro allo scopo di controllarlo di più e meglio non significa doversi adattare, considerarlo normale e costruire un nuovo sindacato che si occupi della precarietà. D’altra parte vi sono già esperienze in questo senso, pensiamo a NidIL-CGIL o al sindacato metropolitano di USB, che si sono rivelate fallimentari nei numeri e nella capacità di contrastare quella frammentazione e restituire dignità a quei lavoratori. Il fatto è che questi sono i nuovi “Lavoratori poveri”, persone che sperimentano condizioni lavorative e contrattuali precarie, intermittenti, su piattaforme, in somministrazione ecc… Le loro condizioni di lavoro sono talmente eterogenee da impedirgli di trovare, finché permangono in quello stato, un contenitore sindacale nel quale sia possibile costruire organismi democratici di rappresentanza fondati sull’esistenza di interessi omogenei. Si tratta quindi di sottrarli a quella condizione di lavoro e per questo noi pensiamo che il nostro compito sia quello di organizzare questi lavoratori nelle loro categorie produttive, individuando la filiera di riferimento, perché la posta in gioco non è la normalizzazione della precarietà in una categoria apposita ma la battaglia da condurre, nei settore in cui lavorano o lavoravano, per internalizzare e stabilizzare il loro rapporto di lavoro, favorendo così l’unità tra tutti i lavoratori, contro il padronato.

Infine ma non meno importante: la sua costituzione darebbe luogo ad un nuovo contenitore manovrabile per modificare le maggioranze ai congressi, dichiarando dati di rappresentatività non certificabili, data l’indeterminatezza del numero degli iscritti e delle entrate economiche.

NO all’inserimento del personale dei servizi negli organismi politici della CUB Pensionati. Rifiutiamo questa proposta che appare surreale, infatti chi fornisce servizi (caf, patronato, ecc…) svolge un lavoro salariato (nel caso del patronato non è neppure un dipendente CUB), il suo lavoro si rivolge alla cittadinanza nell’ambito di una relazione episodica sganciata dall’attività sindacale. A quale titolo costoro dovrebbero essere rappresentati nelle strutture dirigenti del nostro sindacato? E perché poi nel sindacato pensionati? La risposta si trova anche qui nel tentativo di controllare risorse economiche e condizionare il dibattito dentro CUB Pensionati inserendo personale non politico ed economicamente “condizionabile”.

No al “Sindacato di Servizi”. Come si vede una parte dei nostri dirigenti propone una normalizzazione della CUB centrata su adattamento all’esistente frammentazione del lavoro, verticalizzazione delle strutture, accentramento e controllo delle risorse. Esattamente il contrario di quanto ha finora costituito la nostra ragione di essere. Quella che viene proposta, ed è già praticata da una parte della CUB, è un’opzione che sposta il nostro punto di equilibrio dalla centralità della rappresentanza dei lavoratori con l’obiettivo di organizzare il conflitto nei luoghi di lavoro e trasportarlo nella società, verso un piano interclassista in cui diventano centrali un indefinito “territorio”,  gli sportelli che offrono assistenza alla “cittadinanza”, la proiezione della nostra immagine in forma di pura rappresentazione mediatica delle mobilitazioni.

Ne siamo consapevoli: una migliore strutturazione dei Servizi e la necessaria attenzione verso i migranti e i loro problemi particolari sono compiti importanti per la CUB, però vanno praticati nella consapevolezza che non siamo di fronte a nuove categorie sindacali ma ad attività di supporto, assistenza, mediazione con le istituzioni la cui gestione deve essere appannaggio del livello confederale. Su di esse dovremo costruire campagne generali che riguardino le politiche dell’assistenza e quelle migratorie ma dev’essere chiaro che chi vi opera svolge un ruolo sussidiario rispetto a quello sindacale e che le categorie restano il fulcro del nostro sindacato e il luogo di organizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici senza alcuna discriminazione rispetto al fatto che siano immigrati o no.

NO alla sottoscrizione del TUR. Si tratta di una questione di logica: se si ritiene che per avere una nostra presenza sindacale nei luoghi di lavoro occorre partecipare alle elezioni rsu, nella forma costrittiva  elaborata da Confindustria e sindacati confederali, si accetta il ricatto per cui si può svolgere attività sindacale solo aderendo a quanto preteso dal padronato, cioè alla concertazione. Quell’impianto di relazioni sindacali che in trent’anni ha trascinato la nostra classe verso la miseria salariale, la precarietà e la frammentazione. Lo stesso impianto che ha garantito i sindacati che vi aderivano, fornendo loro innumerevoli vantaggi anche economici e aprendo una clamorosa questione morale sulla quale dovremmo fare di più: Infatti come si può pensare che ottenere il monopolio sulla rappresentanza dei lavoratori e usarlo per firmare la totale subalternità salariale e normativa non comporti anche vantaggi personali per chi firma?

 

 

PER UN SINDACATO PROTAGONISTA DELLA TRASFORMAZIONE SOCIALE

Il nostro dibattito congressuale non può evitare una valutazione su quanto accaduto nel tempo trascorso dall’ultima assemblea confederale dei delegati poiché le scelte fatte allora non si sono dimostrate risolutive dei problemi o non hanno avuto seguito. Per esempio la segreteria ristretta a solo cinque elementi ha finito col mostrare tutti i suoi limiti. Ma poi, che ne è delle CUB Provinciali? Sappiamo che la loro costituzione formale è avvenuta in pochissime città e spesso lasciando fuori dei pezzi dell’organizzazione. Il resto della nostra presenza sul territorio nazionale è talvolta garantita da gruppi di compagni e compagne che operano generosamente ma troppo spesso in eccessiva solitudine. In altre situazioni troviamo individui che si ritengono proprietari delle loro strutture e in parte lo sono poiché si tratta prevalentemente di punti di erogazione di servizi che contano iscritti solo perché quell’iscrizione garantisce servizi scontati. Si tratta di  quelli che non sono in grado di organizzare alcuna iniziativa politica, che svolgono solo vertenze individuali, che falsano il confronto congressuale vantando iscritti che in realtà esistono solo sulla carta.

Che ne è stato della capacità attrattiva che allora si era vantata? Come è noto la confluenza di SGB in CUB, data allora per certa, è andata in fumo ad inizio del 2020 quando la maggioranza di SGB,  accusando la CUB di  giocare sporco nella Sanità di Caserta, decise di tornare sui suoi passi. Nei mesi seguenti si consumava la rottura con i compagni di Varese e non si poneva fine al malcostume dell’esistenza, nella stessa città, di CUB diverse in contrasto tra loro come accade, p.es., a Roma, Verona, Torino ed ora anche a Milano. Gli stessi compagni di SGB che hanno comunque aderito alla CUB, prevalentemente in Lombardia, nel Veneto e nel Lazio, ancora adesso non sono ovunque accolti come parte integrante della nostra organizzazione.

In questi fallimenti vi sono responsabilità delle attuali strutture dirigenti?  Crediamo di sì, in particolare di coloro che perseguono la pratica della divisione come strumento di comando e pensano di poter agire impunemente contro le regole che ci siamo dati, com’è accaduto per la  “vicenda Bormioli”. È un fatto che In parte del nostro gruppo dirigente sia emersa una gestione confusa e verticistica, la volontà di indirizzare gli eventi come meglio crede chi si ritiene al comando, il mancato coinvolgimento della base, la tendenza grave e pericolosa a dimenticare gli errori e insabbiare i problemi. Per questo è davvero necessario “cambiare passo” e cioè imporre la massima trasparenza, il rispetto delle regole, la responsabilità dei risultati e il costante  contatto con i militanti. Se non ci riusciremo in cosa ci differenzieremo dai sindacati istituzionali, a parte le dimensioni e (soltanto a volte) le richieste?

Rilanciamo il nostro modello di sindacato radicato nei luoghi di lavoro, rifiutando qualsiasi pratica integrazionistica e di cogestione. Obiettivo centrale della nostra strategia sindacale dev’essere la costruzione di istituzioni di lavoratori e lavoratrici che siano saldamente radicate nel luogo di lavoro e che, libere da compatibilità padronali, possano esprimere la conflittualità necessaria per aspirare a modificare i rapporti di potere nell’ambito dell’azienda e del sistema economico. La piena autonomia del sindacato e delle sue rappresentanze è una precondizione necessaria per esprimere le istanze che nascono dalla base ed aspirare ad accentuare il loro potere contrattuale a tutti i livelli, dall’azienda alla società, interloquendo con i più avanzati movimenti di lotta ma senza una posizione di subalternità. Perciò dobbiamo promuovere la costruzione e lo sviluppo di Coordinamenti dei lavoratori della stessa azienda/filiera o settore e articolare proposte rivendicative avanzate, ricomponendo così ciò che i padroni hanno scomposto.

 

Diamo efficacia a comunicazione, formazione, centro studi. La nostra attuale struttura di comunicazione manca di un’anima sindacale. Per questo, prima di chiedere ulteriori finanziamenti serve elaborare un progetto nazionale più complessivo che definisca una redazione più allargata e si ponga l’obiettivo di supportare i territori nel dare risalto mediatico e raccontare le lotte sindacali.

La formazione dev’essere centrale e continuativa.  Dobbiamo svilupparla, anche in forma itinerante, e pensarla per i delegati e i quadri con lo scopo di  costruire la nuova classe dirigente e promuovere ovunque lavoratori e lavoratrici negli organismi direttivi. Insomma deve servire a superare la propensione alla delega, tanto presente tra i lavoratori, avviandoci verso il superamento della figura del  funzionario “esperto che risolve i problemi”. È imperativo costruire un vero centro studi che produca materiali utili sia per la formazione, sia per l’attività sindacale quotidiana.

 

Costruiamo una commissione nazionale sulla rappresentanza sindacale. La CUB ha fatto della lotta per la libera rappresentanza dei lavoratori un suo tratto distintivo. Nonostante ciò, sino ad ora, non abbiamo mai  elaborato e attuato un piano per contrastare organicamente il falsato sistema della rappresentanza sindacale. A questo punto più che una casualità ci appare come il tentativo di insabbiare la questione per giungere alla proposta di adesione al TUR e di omologazione ad altri sindacati che abbiamo descritto.

Adesso però abbiamo alcune recenti sentenze a nostro favore (ad es. Malpensa Logistica Europa spa e Ikea), che ci mostrano come sulla rappresentatività si possano ottenere importanti risultati pur mantenendosi indipendenti e purché si sia radicali nelle rivendicazioni, radicati nella realtà di lavoro, conflittuali con i padroni. Da queste esperienze dobbiamo ripartire costituendo una commissione mista tra legali e sindacalisti, con il compito di mappare le realtà in cui promuovere le cause sulla rappresentatività e di fornire supporto alle realtà territoriali che affrontano questa problematica. Solo così possiamo condurre la battaglia, che resta ancora da fare, contro lo scippo della democrazia dai luoghi di lavoro. Per condurre più efficacemente questa battaglia invitiamo le organizzazioni di categoria a costruire “casse di resistenza” che supportino le lotte con una attenzione particolare a quelle per le agibilità sindacali della nostra organizzazione.

 

Imponiamo lo svolgimento di un congresso democratico. Il Congresso sarà a Marzo e ancora non sono note le Regole Congressuali né la consistenza numerica delle Federazioni. Queste sono le due condizioni necessarie e indispensabili perché si possa tenere il Congresso. I dati degli iscritti, come deciso dal Coordinamento nazionale, non possono essere “autocertificati” dai territori o dai segretari, ma pretendiamo che siano verificati ed incrociati con le entrate bancarie da una apposita commissione.

Un sindacato di lotta è l’antidoto alla mutazione genetica.

Riteniamo che dall’attuale maggioranza della segreteria nazionale della CUB giunga la proposta di una mutazione di fondo del nostro sindacato. Essa ripropone oggi gli stessi identici errori organizzativi e di strategia che hanno portato RdB a rompere con la CUB nel 2011 e a costituire USB sperando in un suo riconoscimento a livello governativo che però, e ovviamente, non si è dato.  Questa proposta è promossa dall’alleanza politica tra due aree: da un lato c’è chi pensa di salvaguardare la sua poltrona e il suo apparato burocratico trasformandoci in un sistema di sportelli, Caf e Patronati; dall’altro c’è chi invece si spinge più in là, proponendo lo snaturamento organizzativo che abbiamo illustrato e che ci porterà, col tempo, alla definitiva istituzionalizzazione e omologazione; che, quando dispiegherà pienamente i suoi effetti, porterà necessariamente all’adesione ai CCNL di settore, nella speranza di essere invitati ai tavoli informativi di governo e padronato. Indice di quanto sia fallimentari questo progetto, è la totale assenza nelle piazze dello sciopero generale del 2 dicembre delle realtà che propagandano la necessità di “trasformare” la CUB.

Contro questa ventata “moderata” e “interclassista” è necessario che i lavoratori e le lavoratrici,  gli iscritti e le iscritte, resistano e difendano il loro sindacato ricostruendo una CUB che torni a discutere di come ricomporre, organizzare e unire le lotte della classe lavoratrice nella sua nuova composizione materiale.

La CUB che vogliamo ricostruire è il sindacato che rifiuta senza compromessi i piani padronali, identifica le questioni centrali per la nostra classe e definisce gli  obiettivi e le iniziative generali e locali per raggiungerli; è la CUB che riprende in pieno la parola d’ordine del rifiuto della guerra esterna (tra stati) e di quella interna (del padronato contro la nostra classe). Per farlo dobbiamo avere chiarezza degli obiettivi e impostare una  battaglia generale contro la corsa bellica e per il recupero salariale e normativo che punti su:

  • lotta alla precarietà e al lavoro nero,
  • riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario,
  • ripristino delle norme sugli appalti imponendo precisi canoni e responsabilità alle committenze,
  • Introduzione del salario minimo legale e difesa del reddito di cittadinanza,
  • ripristino della tutela dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori,
  • legge sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro e sull’efficacia dei contratti collettivi,
  • difesa del welfare pubblico (sanità, istruzione, assistenza, trasporti) e del diritto all’abitare,
  • difesa delle pensioni pubbliche e abolizione delle legge Fornero,
  • lotta contro le grandi opere inutili e dannose,
  • contrasto dell’apparato militare-industriale e del nostro coinvolgimento nei teatri di guerra.