LA CANCELLAZIONE DEL REDDITO DI CITTADINANZA

UN ALTRO TASSELLO A FAVORE DELLA PRECARIZZAZIONE DEL MONDO DEL LAVORO

Con il Decreto Lavoro, recentemente convertito dalla Legge 85/2023, il governo Meloni ha cancellato il Reddito di Cittadinanza. Al danno che subiranno migliaia di persone – a regime dovrebbero diventare 600.000 – che improvvisamente si ritroveranno senza sostegno, va ad aggiungersi la beffa della comunicazione da parte dell’INPS, avvenuta tramite sms, che scarica il problema sui servizi sociali dei comuni, chiaramente sprovvisti di strumenti in grado di far fronte all’emergenza che si verrà a creare.

Negli ultimi decenni le economie capitalistiche hanno subito profonde trasformazioni, e sono diventati centrali fenomeni come la disoccupazione, derubricata ad un semplice problema di incontro tra domanda ed offerta di lavoro, e il precariato, dissimulato sotto l’etichetta della flessibilità lavorativa. Il Reddito di Cittadinanza (RdC), e prima ancora il Reddito di Inclusione (REI), sono stati introdotti a seguito di un lungo dibattito, sospinto dal fatto che la classe lavoratrice nel nostro paese è oppressa da una disoccupazione strutturale oscillante tra il 10-12%; da una esplosione di forme contrattuali precarie confezionate su misura delle esigenze delle aziende – qualche interprete è arrivato a contarne fino a 46, alcune senza retribuzione obbligatoria come gli stages; da una drammatica emergenza salariale, con il valore medio dei salati crollato del 2,9% rispetto al 1990.

Come CUB siamo stati aspramente critici sia nei confronti del REI che del  RdC perché ritenuti inadeguati a rispondere in maniera strutturale e definitiva alle condizioni di diffusa povertà e ricattabilità, alla quali sono costretti quotidianamente i disoccupati e i lavoratori precari. Sosteniamo invece la necessità di un reddito garantito di 1.000 euro che definirebbe quel livello di salario al di sotto del quale il lavoratore può rifiutare offerte vessatorie, aumentando di conseguenza il suo potere contrattuale e quello collettivo.

Una proposta in contrasto con le politiche di ricatto economico, a garanzia di una vita dignitosa per tutte/i, che va considerata all’interno di un progetto più ampio di eliminazione delle forme contrattuali atipiche, di riaffermazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, di una consistente riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, del rilancio di una politica industriale.

Il reddito di cittadinanza, seppur caratterizzato da una erogazione economica piuttosto modesta, e dal vincolo di accettazione delle proposte lavorative, ha tuttavia assolto in parte questo compito. Lo abbiamo visto, per fare uno degli esempi più significativi, quando nel settore turistico gli imprenditori hanno iniziato a lamentare l’impossibilità di trovare personale, soprattutto nei periodi stagionali, che accettasse proposte caratterizzate da turni massacranti e stipendi miseri.

Proprio per questo motivo il RdC è stato contrastato da tutte le associazioni datoriali, da tutti i partiti di destra e, in prima battuta, anche da quelli del centrosinistra.

Il governo Meloni progressivamente sta accogliendo tutte le richieste della borghesia che intende rappresentare – facilitando l’utilizzo di contratti a termine, cancellando i limiti per il ricorso alla somministrazione di mano d’opera, aumentando la detassazione per le imprese, opponendosi al salario minimo, cancellando il reddito di cittadinanza – mentre spende parole di assoluzione per le piccole imprese che evadono le tasse, e non ha nessuna intenzione di mettere mano alle regole della contrattazione collettiva, monopolio di CGIL-CISL-UIL e Confindustria.

Non possiamo che sostenere le legittime proteste contro questa nuova misura antisociale, rilanciando la necessità di una grande mobilitazione su una piattaforma che serva a contrastare il crollo dei salari.                                                              

Per: aumenti salariali di 300 euro; reintroduzione della scala mobile; salario minimo di 12 euro e una legge realmente democratica sulla rappresentanza sindacale e l’efficacia obbligatoria dei contratti collettivi; riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, part-time non inferiori alle 24 ore settimanali; ripristino dell’articolo 18; cancellazione dei contratti precari; reinternalizzazione degli appalti; reddito garantito di 1000 euro, riforma degli ammortizzatori sociali.