CONTRO LE APERTURE FINO ALLE 22

RITORNIAMO AD ORARI PIU' CIVILI

Spett.le

Esselunga S.p.A.

Direzione Risorse Umane

Via Giambologna, 1

20096 Limito MI

e p.c.: FEDERDISTRIBUZIONE

Milano, 8 settembre 2022

Oggetto: Apertura al pubblico – orario di chiusura

In data 4 aprile c.a., la scrivente Vi interpellava per chiedere conto dell’estensione dell’orario di chiusura alle 22 al SuperStore di Milano Via Lorenteggio, ultimo di altri punti vendita di cui Milano Viale Piave, come in tutte le “sperimentazioni”, figura come precursore.

Nel testo ci soffermavamo sulla mancanza di comunicazione di una decisione calata dall’alto senza motivazione apparente alcuna, pur essendo chiaro come lo spalmare “ore di servizio” possa risultare in variazioni di produttività.

Non riprendiamo in questa sede la ben fondata polemica di una gestione così delicata in mano a sindacati autoproclamatisi rappresentanti di tutti, con i quali in alcuni casi avete sottoscritto turni modulari in copertura delle 22.00 puntualmente disattesi e lasciati ad una distribuzione del carico sulle solite part time “a foglietto”. Si parla sempre di “adesioni volontarie”, e si sa che il potere di discrezionalità decide anche chi siano le solite “volontarie”. Questo tema, come Vi è noto, lo stiamo seguendo con attività apposita.

Preme invece tornare, a distanza di 6 mesi, con “l’economia di guerra” e le prevedibilissime ripercussioni ormai evidenti ed imperanti, sulle nostre considerazioni in merito agli sprechi. Ne riprendiamo il corpo centrale:

“(…) ferma restando la libertà imprenditoriale – che nessuno mette in discussione – aprire un’ora in più significa tempo aggiuntivo di esposizione per le vetrine. Dando per scontato che l’accesso al pubblico sia allungato per facilitare le vendite, sappiamo anche che la carica batterica della carne, del pesce, nonché i tempi di mondatura di frutta e verdura  conservazione del pane impongono un maggior spreco di prodotto.

La scrivente quindi NON si limiterà a puntare il dito su di un ULTERIORE peggioramento delle condizioni lavorative: è implicito che le “disponibilità”, se la decisione sarà protratta nel tempo, saranno sempre più condizionate a pressioni e “scambio favori”, con i soliti teatrini quotidiani per ferie e turni agevolati. Viste le condizioni del servizio pubblico, orari estesi in fasi disagiate significano obbligare all’utilizzo di mezzo privato (con costi aggiuntivi) o a tempi prolungati di spostamento per chi mezzo privato non ha. Ciò significa ulteriore disagio anche nella gestione del carico familiare, sia dal punto di vista economico che di pura conciliazione degli impegni per la cura.

E’ nostro dovere infatti, in questa congiuntura, sottolineare che l’estensione dei tempi di apertura significa utilizzare più merce: essendo noi gli operatori che ritirano il pane invenduto dalle ceste, che svuotano le vetrine e quantificano l’invenduto, in questo momento riterremmo ingiustificato incrementare gli sprechi per inseguire un non proporzionale aumento delle vendite.

La pandemia è (stata) affrontata con una scusabile schizofrenia di norme su contingentamenti ed aperture, nonché di limitazioni di generi di vendita: dal punto di vista commerciale l’orario esteso avrebbe avuto un maggior motivo d’essere in fase di lockdown, con gli ingressi limitati e le file alle entrate – pur se dal punto di vista lavorativo gli organici carenti imponevano al contrario la restrizione delle aperture.

Oggi non se ne vede la ragione ; il potere d’acquisto è fermo, anche per merito Vostro e delle Organizzazioni Sindacali che Voi considerate più rappresentative (ricordiamo che gli elementi della Contrattazione Integrativa sono fermi da più di vent’anni, che le maggiorazioni domenicali e festive sono diminuite, che i nuovi assunti non beneficiano di riduzione dell’orario settimanale ecc), e così negli altri settori. L’inflazione sta facendo il resto, intervenendo a bomba dopo più di un ciclico rischio di stagflazione, con effetti micidiali.

Sarebbe ora di ripensare il modello, conferendo con gli altri attori di quella che si è autodefinita Distribuzione Moderna Organizzata ma di cui si fa capire in cosa consista il “Moderna” se non in qualche processo di digitalizzazione ed automatizzazione, in coda ai quali si trovano sempre più spesso cooperative di facchinaggio appaltate secondo tradizione antica.

E’ nostro interesse puntare il dito su prassi intollerabili quali la mancanza di condivisione delle scelte (che nessuno chiede diventi compartecipazione, ma solo conoscenza di scelte e motivazioni alla base) e di strategie commerciali che non possono più permettersi di non tenere conto del consumo di materie prime: le Aziende “antiche” potevano combattere “all’ultimo pollo” e poi in chiusura svuotare le vetrine contando gli scarti; se le Aziende della DMO decidono che la concorrenza si fa ANCORA gareggiando a chi ha più tipologie di pane in chiusura Negozio, significa che la Vostra Organizzazione imprenditoriale non vuole ipotizzare alternative.”

Oggi è definitivamente scoppiata la bolla energetica, fuori controllo sicuramente per incapacità o volontà politica di chi non ha voluto prepararsi adeguatamente ad uno scenario scontato: l’Europa si è dimostrata unita nelle sanzioni, salvo poi reagire “ognuno per sè” in tema di approvvigionamenti.

Ciò significa che, come ben sapete, QUESTE CONDIZIONI SARANNO DURATURE e, tuttalpiù, saranno momentaneamente mitigate da congiunture meno acute ma con una volatilità talmente marcata da non costituire sollievo. Chi promette altro, o è sciocco o mente consapevolmente. Non siamo più in tempi in cui lo spreco di cui sopra possa essere considerato “ammissibile” innome della concorrenza – produrre preparazioni alimentari che si  sa già finiranno invendute all’ora di chiusura perché si è messo in conto il margine di scarto e lo si è considerato compensato e assorbito dalle vendite effettive era già eticamente discutibile, oggi non è più accettabile.

Ciò è ancora più valido se si parla di energia: ponessimo il caso che una bolletta decuplicata fosse sostenibile, continuare ad applicare lo stesso sistema commerciale affermando “ma io pago!” non sarebbe comunque tollerabile, in un sistema in cui il bene è (sempre più) limitato e la scarsità stessa è il motore che alimenta nuovi rincari.

Abbiamo preso atto con sollievo vedendo che, quando un costo diventa non più sopportabile, FederDistribuzione, la Distribuzione Moderna Organizzata reagisce con gli stessi metodi di noi antiquate Organizzazioni Sindacali di base: scioperando.

Si è visto con i buoni pasto, ingiustificabile “carta moneta parallela” con una circolazione sproporzionata data dai vantaggi fiscali per chi li emette in sostituzione di salario vero…cioè i Datori di Lavoro stessi: si pensava di poter sostituire la retribuzione con il “welfare” anche in questo, e ci ritroviamo con un fenomeno ormai inarrestabile dove il buono pasto non ha più nulla a che vedere con la consumazione di un pranzo lavorativo, ma è a tutti gli effetti carta straccia da accettarsi come contante, che sia un barista abusivo che ci compra una cassa di birra per rivenderla in nero sui Navigli o meno. Ora questo “tumore monetario” è talmente diffuso, in metastasi, che Voi stessi sapete di non poter più rifiutare in toto o restringerne le modalità di accettazione. E allora avete scioperato, per un giorno. Pur chiamandolo in mille modi diversi, negli annunci, per non far notare che i metodi antichi spesso sono la risposta migliore, avete fatto un giorno di sciopero del buono pasto. E noi Vi diciamo: “Benvenuti tra chi sciopera per conquistare condizioni migliori”.

Parimenti, il problema dell’energia vi ha già spinto ad un’altra protesta: per chi era presente a mezzogiorno quel dì, un patetico quarto d’ora di abbassamento delle luci di cui nessuno (ma proprio nessuno) ha capito il senso – quindi l’unico vantaggio è stato il risparmio in sé per quei 15 minuti, in cui noi abbiamo visto le luci spente, salvo poi, in alcuni Negozi, vederle ben accese fino alle 22.

Invitiamo formalmente a RIPENSARE dalle basi il sistema: nella Vostra Organizzazione sono presenti TUTTI i marchi più importanti della Grande Distribuzione, e come si chiede spesso ai lavoratori di “concertare”, di rinunciare alle rivendicazioni, forse dovreste riunirVi per stilare un codice di autoregolamentazione, dei limiti agli orari di apertura scriteriati che di rimando portano a maggiori sprechi (e non raccontateci la favola dell’occupazione proporzionale, perché noi nei

Negozi ci lavoriamo, e gli organici non li abbiamo mai visti aumentare). L’altra fiaba che chiediamo di risparmiarci è quella della circolazione del valore aggiunto: siamo il paese europeo che ha di gran lunga gli orari commerciali più anarchici, e non a caso quello con i salari di gran lunga più bassi.

La concorrenza tra Voi potrà essere accesa, ma quando si è trattato di metterVi d’accordo per ottenere il “contatore malattie” o l’aumento delle ore lavorative per i nuovi assunti, o gli obblighi domenicali a prezzi stracciati, siete stati ben compatti insieme a Cgil, Cisl e Uil: potreste mostrare la stessa unità per qualcosa che avrebbe beneficio su tutta la comunità.

Valutate anche attentamente il fatto che, nelle fasce disagiate della chiusura alle 22, come già detto sono quasi sempre le solite part time – donne. Appare in bacheca aziendale il Progetto Libellula, a contrasto della violenza sulle Donne e a conforto delle vittime. Le stesse bacheche aziendali a cui passano davanti le part time che, da un giorno all’altro, si sono viste consegnare post it con l’orario di chiusura spostato dalle 21.15 alle 22.15, con la solita volontarietà non richiesta in quanto “ti spetta, tu non hai orario fisso”. Con buona pace della Libellula, questa donna potrà quindi stare un’ora in più seduta ad una cassa senza clienti (le affluenze notturne le conosciamo) e poi recarsi alle 22.30 sui mezzi in Via Lorenteggio o in Porta Venezia, oppure a recuperare la macchina parcheggiata in qualche luogo deserto – con grande serenità.