PROPOSTE PER DOCUMENTO CONGRESSUALE

CONGRESSO CUB SANITA' MILANO 2022

 

PROPOSTE PER DOCUMENTO CONGRESSUALE

 

Il modello di sistema sanitario che vogliamo

 

Prevenzione: L’obiettivo del Sistema Sanitario Nazionale dovrebbe essere quello di prevenire lo sviluppo delle malattie, garantendo il benessere dei cittadini ed il risparmio delle risorse pubbliche. Purtroppo, il sistema capitalistico punta sul profitto ed il profitto, secondo questa logica, deve esserci ovunque, a prescindere dal benessere dell’intera umanità.

La corsa al profitto genera un circolo vizioso. Soltanto a titolo esemplificativo, quando si consumano gli alimenti industrializzati, si fuma, o si beve l’alcool, si aumenta il rischio di sviluppare le malattie cardiovascolari, la patologia maggiormente responsabile della mortalità in Unione Europea, il 50% circa. Le industrie garantiscono il loro profitto vendendo prodotti dannosi per la salute dei cittadini da una parte, dall’altra vendono la cura attraverso i farmaci, cure ospedaliere private, convenzionate o attraverso alcuni servizi esternalizzati. Mentre i cittadini muoiono, loro festeggiano il valore delle loro azioni in borsa.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità asserisce che circa l’80% delle patologie cardiovascolari e del diabete e almeno il 40% dei tumori, possono essere prevenuti semplicemente cambiando gli attuali stili di vita. Il Sistema Sanitario Nazionale dovrebbe puntare pertanto alla formazione dei professionisti per fare sia la prevenzione primaria, come educare attivamente i cittadini alla tutela della propria salute, prevenire i fattori ambientali, cambiare le condizioni di vita, per esempio, migliorando le condizioni di lavoro, ecc. ed investire sulla prevenzione secondaria, facendo lo screening regolare della popolazione non solo usando le macchine di ultima generazione, ma soprattutto conoscendo da vicino le abitudini dei cittadini attraverso la medicina preventiva territoriale. In Italia, meno dell’1% delle risorse del Sistema Sanitario Nazionale è investita sulla prevenzione, in Unione Europea il 3%; il cambiamento del paradigma permetterebbe di risparmiare più del 60% delle risorse e aumenterebbe il benessere per tutti.

 

Sanità Pubblica e gratuita…

Cosa vuol dire Sanità Pubblica e Gratuita? Tutta la ricchezza di una società è prodotta dal sudore dei lavoratori e delle lavoratrici, questa è la premessa basica. Non è condivisibile il discorso che afferma che sono gli imprenditori i produttori delle ricchezze; questa favola è smentita con un semplice sciopero che blocca la produzione. Ma perché stiamo esplicitando questa premessa? Per dire che difendere la Sanità Pubblica e gratuita è dire che i lavoratori e le lavoratrici non devono pagare due volte quello che hanno già pagato tramite le tasse. Tanto le tasse pagate da loro stessi o le tasse pagate dalle aziende che usano parte del profitto ottenuto con lo sfruttamento della forza lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici. La Sanità Pubblica e gratuita è giusta dal punto di vista economico e umanamente necessaria. Ma per essere effettiva dobbiamo abolire il ticket sanitario. Diverse ricerche dimostrano che il ticket sanitario impedisce l’accesso alle cure per il 20% circa della popolazione. I cittadini per poter pagare le loro spese ordinarie non fanno tutte le visite o esami di cui avrebbero bisogno e le esenzioni non sono sufficienti per risolvere il problema, aggravando le patologie e il costo sociale delle stesse.

 

… e Universale: Che il sistema sanitario dovrebbe essere universale per poter garantire il benessere e la vita dei cittadini dovrebbe essere di senso comune. Purtroppo, le privatizzazioni, la logica di usare la sanità come fonte ulteriore di profitto (perché il sistema guadagna producendo la malattia e vendendo la cura), fa sì che l’accesso alle cure e la prevenzione non siano universali, anzi, chi paga ha diritti, chi non paga corre il rischio di morire, mentre aspetta un esame in una delle barelle che affollano i corridoi degli ospedali pubblici italiani. La nostra posizione come CUB Sanità è chiara: tutti i cittadini devono avere l’accesso alle cure e alla prevenzione, soprattutto i lavoratori e le lavoratrici che sono quelli che producono tutta la ricchezza sociale.

Pertanto, siamo contrari alle politiche che rafforzano l’istituto delle assicurazioni private e delle strutture private e convenzionate in sanità. La salute dovrebbe essere il bene più importante di qualsiasi comunità e la privatizzazione diretta o indiretta dei servizi sanitari, favorendo il profitto dei privati, non garantisce l’universalità delle prestazioni come previsto in teoria dal sistema sanitario nazionale. Prima della Riforma sanitaria del 1978, esisteva un sistema di mutue, rivolto essenzialmente ai lavoratori, alle lavoratrici e alle loro famiglie; con le assicurazioni sanitarie integrative, sempre più spesso inserite dai sindacati complici nei rinnovi contrattuali, al posto degli aumenti economici, riportano indietro ad un sistema che crea assistenza diversa a seconda del reddito e del settore di appartenenza. Inoltre, non c’è più copertura se si perde il lavoro o se si è precari.

Infine, la pandemia ha dimostrato come le patologie non chiedono la regolarità del permesso di soggiorno per circolare e diffondersi: per questo, l’assistenza sanitaria, e non solo quella in urgenza, deve essere garantita anche ai cosiddetti clandestini.

 

Il Servizio Sanitario torni ad essere Nazionale e non Regionale, affinché venga erogata assistenza di qualità e omogenea su tutto il territorio.

La nazionalità del sistema sanitario è precondizione per l’equità del sistema. La regionalizzazione del sistema promuove la disuguaglianza: le regioni più ricche possono offrire ai loro cittadini servizi di qualità superiore, comunque qualità lontana dai livelli accettabili per garantire il benessere dei cittadini. L’omogeneità non vuol dire stesse erogazioni su tutti i territori, ma erogazioni compatibili con le necessità di ogni territorio, basate sulla distribuzione pianificata delle risorse.

Oggi assistiamo ai “viaggi della speranza”, soprattutto verso nord, con ulteriore barriera economica o costringendo le famiglie ad indebitarsi.

Anche nelle Regioni più fortunate, i rimborsi – talvolta più vantaggiosi per i privati delle prestazioni fornite ai pazienti “fuori-regione” – creano liste di attesa penalizzanti per i cittadini residenti.

Sistema partecipativo di controllo

In Italia, la riforma sanitaria del 1978 conteneva tutti i presupposti per un sistema sanitario pubblico, gratuito, universale e partecipato: la riforma non è mai stata compiutamente messa in atto, soprattutto per quanto riguarda la partecipazione dei cittadini, sia in funzione di tramite con le comunità locali e, dunque, in funzione educativa, che per attuare un controllo, che potesse prevenire la burocratizzazione, la corruzione e le infiltrazioni.

Gli interessi dei privati, che controllano i media, hanno narrato di un sistema costoso e inefficiente, sapendo di mentire. Hanno amplificato gli episodi di malasanità, la questione delle liste di attesa, per favorire lo smantellamento del sistema pubblico e la crescita di quello privato; pertanto, il sistema partecipativo di controllo è stato abbandonato e sostituito dalla narrativa che solo il sistema privato è efficiente, una bugia ripetuta mille volte, ma che non ha la conferma nella realtà, basta vedere cosa succede nelle case di riposo. Dobbiamo riprendere la gestione ed il controllo del sistema sanitario perché solo i cittadini, i veri interessati, possono sapere cosa manca, su cosa investire e cosa migliorare. 

 

Sociosanitario pubblico

Come abbiamo già detto, la prevenzione deve essere lo scopo principale di qualsiasi sistema sanitario, per cui l’obiettivo principale sarebbe quello di creare condizioni per il benessere degli anziani e per il benessere possibile dei disabili, garantendo la loro convivenza, dove possibile, con i loro familiari. Per cui l’assistenza domiciliare dovrebbe essere la prima forma di assistenza da privilegiare, quando si tratta dell’assistenza e cura degli anziani e disabili; in una scala di priorità, l’implementazione dei Centri Diurni “umanizzati” sarebbe la seconda alternativa. Oggi, invece, succede che la cura degli anziani e disabili è un gran business, le multinazionali o grandi aziende nazionali fanno profitto sulla sofferenza dei più fragili, prendendo soldi delle regioni e anche dei parenti attraverso le rette sempre più elevate. Per fare profitto, sfruttano sempre di più i lavoratori e le lavoratrici del settore, la maggioranza immigrati, che già dopo 10 anni di lavoro hanno la loro salute rovinata dalle pessime condizioni di lavoro. Denunciamo che esiste anche una componente razzista nel modo di organizzare e sfruttare i lavoratori e le lavoratrici del settore sociosanitario: loro sono non soltanto manodopera economica, ma possono essere sostituiti da altri immigrati, che arrivano come se fossero oggetti da scartare. Poiché la maggioranza non vota, non hanno voce e non vengono considerati dalla politica.

 

La nostra posizione su diversi temi che riguardano i lavoratori e le lavoratrici del settore sanitario e sociosanitario

 

TFR/TFS: sblocco immediato del TFS per i lavoratori e le lavoratrici pubblici, no alla destinazione a fondi chiusi/aperti.

I fondi si basano sulla speculazione e gli investimenti in Borsa non sono affidabili per costruire un sistema pensionistico, viste le ricorrenti crisi finanziarie. I fondi pensione erano stati tarati sulla cosiddetta “finanza etica”, per essere presentabili da parte di Cgil Cisl Uil, ma sono stati travolti, com’era prevedibile, dalla speculazione.

Non esiste una Borsa etica. È basata sull’arricchimento a tutti i costi e chi si arricchisce non è la gente comune, ma gli speculatori senza scrupoli, che guadagnano a danno degli sprovveduti, nel nostro caso i lavoratori e le lavoratrici, che hanno riposto nei fondi le proprie speranze di avere una pensione dignitosa.

Chi ha mantenuto il TFR ha negli ultimi sei mesi avuto una rivalutazione del 4%, chi ha scelto i fondi pensione negli stessi ultimi sei mesi ha avuto rendimenti negativi consistenti, meno 8,3% che hanno bruciato i rendimenti positivi degli scorsi anni. Il tfr lasciato in azienda è assolutamente competitivo a lungo termine e non fa perdere soldi.

 

PNRR prevede solo incentivi su tecnologie, telemedicina, digitalizzazione, ma in sanità e nel lavoro di cura non è sostituibile il rapporto umano: la tecnologia deve essere a servizio di lavoratori e le lavoratrici e utenza.

Il PNRR prevede investimenti su nuove tecnologie: lo scopo principale non è modernizzare la sanità, usando, per esempio, la telemedicina, ma è quello di sostituire il rapporto umano, fondamentale quando si tratta di sanità, per dare al mondo della finanza, dei gruppi assicurativi e privati nuove possibilità di far profitto sulla pelle dei cittadini. Secondo noi, l’investimento fondamentale è nella formazione dei professionisti, soprattutto quelli che devono occuparsi della prevenzione. Investimento che è anche più economico e fa risparmiare non solo sugli acquisti delle nuove tecnologie ma anche su farmaci, strutture sanitarie, ecc.

L’emergenza Covid ci ha mostrato il disastro di un sistema sanitario basato sulle privatizzazioni dirette ed indirette, responsabile della morte di migliaia di persone su tutto il territorio; occorrono gli investimenti, ma ci vuole soprattutto una nuova logica in cui la priorità sia l’essere umano, la formazione dei professionisti, il benessere dei cittadini e non soluzioni miracolose e tecnologiche, la tecnologia deve essere uno strumento in più, non il focus principale del sistema sanitario.

Come sindacato, possiamo tradurre questi principi in piattaforme rivendicative coerenti: Sanità senza profitto, con maggiori investimenti su formazione e personale.

 

Cambiare i criteri di accreditamento, soprattutto nel rapporto tra pazienti e lavoratori e lavoratrici, aumentando il personale, i minimi assistenziali vanno aboliti!

La nostra posizione è la difesa del sistema sanitario e sociosanitario pubblico, universale e gratuito per cui un sistema che possa considerare la complessità della prevenzione e delle cure. Purtroppo, la privatizzazione diretta ed indiretta ha prodotto grossi problemi: sono state introdotte metodologie per stabilire i minimi assistenziali, perché, pur garantendo il profitto ai privati, si doveva mettere almeno un freno ai loro metodi di sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici. Il cosiddetto minutaggio serve a questa logica. Le strutture, che assomigliano a dei parcheggi per i pazienti oppure magazzini in cui sono lasciati senza cura gli “indesiderati”, vogliono soltanto guadagnare soldi, la salute e il benessere sono l’effetto collaterale della corsa al profitto. Sapendo che un limite minimo alla sete capitalistica doveva essere stabilito, le Regioni hanno formulato le proposte che stabiliscono i parametri minimi assistenziali. I pazienti diventano oggetti in una catena di montaggio, la loro cura deve durare il tempo necessario per garantire il lucro; se sei in una RSA, il limite minimo diventa allo stesso tempo il massimo, se hai dei bisogni che superano il minimo non è un problema del capitalista e delle multinazionali, verrai cambiato, avrai poco da mangiare e in fretta, sarai messo al letto e basta. Se hai fortuna, forse riuscirai ad essere accompagnato per vedere un po’ di TV o prendere un po’ di aria. La nostra posizione è quella di abolire i minimi assistenziali: tutte le persone devono essere trattate come essere umani, ognuno con i suoi bisogni specifici e le sue necessità. Il personale deve avere tempo di svolgere i propri compiti in sicurezza, per sé e per gli ospiti o pazienti.

 

CCNL unico per i settori pubblico e privato, unico modo per garantire equità anche di prestazioni sul territorio. A chi svolge uguali mansioni vanno garantiti uguali diritti e salari.

L’esistenza di diversi CCNL nel settore sanitario e sociosanitario serve soltanto alle associazioni datoriali per aumentare lo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici, pagando sempre di meno i lavoratori e le lavoratrici, che alla fine svolgono le stesse mansioni di quelli che hanno il CCNL della sanità pubblica. La divisione dei lavoratori e delle lavoratrici ed il risparmio sugli stipendi ha delle grosse conseguenze per l’utenza. I lavoratori e le lavoratrici mal pagati e demotivati, senza diritti (oppure con pochi diritti) alla fine si ammalano di più, non hanno abbastanza tempo per fare i corsi di aggiornamento, non usufruiscono dei diritti basici, ma non sufficienti, dei lavoratori e delle lavoratrici che hanno il CCNL sanità pubblica. Perciò l’unico modo di salvaguardare le condizioni minime di lavoro, lontane ancora delle condizioni ideali, sarebbe quello di garantire lo stesso CCNL per tutti i lavoratori e le lavoratrici del sistema sanitario e sociosanitario. 

 

No al sistema DRG, che crea distorsione sui tempi di attesa e la criticità delle dimissioni precoci e non valorizza il lavoro di tutte le professioni e attività coinvolte.

Come abbiamo affermato diverse volte in questo documento la nostra proposta è per una sanità pubblica, universale, gratuita, basata sulla prevenzione. Il sistema DRG (acronimo di Diagnosis Related Groups, ovvero Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi) indica il sistema di retribuzione degli ospedali per l’attività di cura, introdotto in Italia nel 1995, ovvero invece di curare ogni paziente secondo il suo bisogno specifico lo si cura basandosi sul tipo di malattia che viene retribuita, in base alla classificazione imposta dal sistema DGR. Questa degenerazione esiste perché lo scopo fondamentale della sanità è diventato il profitto e non il benessere dei cittadini. Quando la retribuzione era stabilita “a piè di lista”, cioè in base alle giornate di degenza, i pazienti rimanevano negli ospedali anche più tempo del necessario, per risolvere questo “problema” si introduce il DGR, che ha l’effetto contrario, cioè gli ospedali dimettono appena possono i pazienti, in modo da ricoverarne subito un altro ed aumentare i rimborsi “a prestazione”. Entrambi i modelli non mettono al centro i veri bisogni delle persone; entrambi i modelli si preoccupano di raggiungere massimi livelli di lucro e sono distorsioni prodotte dal sistema capitalistico.

 

No al numero chiuso nelle facoltà delle professioni sanitarie.

Uno degli argomenti principali per quelli che difendono il numero chiuso per le professioni sanitarie è: “Togliere il numero chiuso rischierebbe di aprire le porte a studenti meno bravi e motivati e di ridurre la qualità della didattica”. La preoccupazione che si evidenzia è quella di mantenere la qualità del sistema sanitario. La realtà quotidiana è diversa. La qualità del sistema sanitario non si basa sul numero chiuso nelle facoltà delle professioni sanitarie, ma negli investimenti su tutto il sistema e soprattutto nel cambiamento del paradigma che orienta la logica del sistema stesso. La formazione in massa dei medici a Cuba, per esempio, medici riconosciuti in tutto il mondo per la loro alta formazione professionale, non ha fatto cadere la qualità della loro formazione, anzi ha garantito a Cuba uno dei migliori sistemi sanitari del Mondo. Il numero chiuso è più un modo di mantenere determinati privilegi per una classe di professionisti che un modo per salvaguardare la qualità delle prestazioni sanitarie. Oltre che un evidente errore di programmazione da parte della politica. Eppure, le corporazioni delle arti e mestieri sono state abolite da due secoli. Ovvio che stiamo esagerando ma il principio è sempre quello di privilegiare un gruppo di persone a svantaggio della collettività.

 

Salute e Sicurezza: no monetizzazione del rischio

La questione della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro è fondamentale per la CUB Sanità. 

La formazione dei nostri iscritti per identificare ogni problema che possa mettere a rischio la salute o sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici è uno dei nostri obiettivi principali in questo momento storico, in cui i ritmi di lavoro sono aumentati assurdamente e i padroni vogliono sfruttare i lavoratori e le lavoratrici fino alla loro ultima goccia di sudore. L’investimento sulla prevenzione e sulla sua messa in pratica è una delle nostre bandiere. Obbiettivo dei nostri corsi è quello di motivare e convincere i lavoratori e le lavoratrici affinché siano consapevoli che l’attenzione alla tutela della salute propria e dei colleghi è una priorità assoluta.

L’altro problema da affrontare è quello dell’Inail, che dovrebbe preoccuparsi di fare prevenzione e indennizzare i lavoratori e le lavoratrici, ma trova sempre il modo di negare diritti basici a chi subisce un infortunio o una malattia professionale. L’INAIL in molti casi si comporta peggio di un’assicurazione privata. Per far valere i loro diritti, i lavoratori e le lavoratrici e i cittadini sono così costretti a lottare e sostenere lunghe e costose cause in tribunale – con i loro scarsi mezzi – contro l’atteggiamento dell‘INAIL lesivo della dignità, della salute, e dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.

Invece di indennizzare gli infortunati e le malattie professionali aumentando le rendite, l’INAIL risparmia i soldi (dei lavoratori e delle lavoratrici) sulla loro pelle, usandoli per scopi non certo nobili come la speculazione finanziaria, nel più totale e complice silenzio di partiti, sindacati e istituzioni. Questo ente ha accumulato un “tesoretto” di 30 miliardi di euro e, invece di usarli per le vittime, per i lavoratori e le lavoratrici infortunati e malati aumentando le quote previste per risarcire gli infortuni e le malattie professionali, li usa per altri scopi.

Per i padroni e le istituzioni, che i morti sul lavoro stiano sotto quota mille è un limite accettabile e tollerabile. Per noi non è tollerabile neanche un morto sul lavoro, perché lo consideriamo un crimine contro l’umanità; per questo chiediamo che sui morti sul lavoro e sui morti di lavoro o da lavoro venga abolita la prescrizione.

 

Premi incentivanti

La politica di premi incentivanti è fatta per nascondere il fatto basico che i salari sono bassi. La nostra politica è quella di difendere gli aumenti salariali e non la politica dei premi. La logica capitalistica vuole pagare poco i lavoratori e le lavoratrici per poter incentivare l’aumento della produttività, sfruttandoli sempre di più; alla fine offrono premi, quasi sempre che hanno come criterio la presenza dei lavoratori e delle lavoratrici. Il problema è che i lavoratori e le lavoratrici si ammalano soprattutto per i ritmi insani di lavoro e i premi dividono i lavoratori e le lavoratrici, creano una guerra tra poveri, tra quelli “bravi” e gli altri “pigri”, quando in realtà la “pigrizia” dei lavoratori e delle lavoratrici non è altro che la cattiva organizzazione del sistema, che è in se stesso demotivante.

Pertanto, se i colleghi insistono dobbiamo spiegare il vero scopo della politica dei premi ed in ultimo caso insistere sui criteri che non prevedono le assenze per il pagamento dei premi, a volte penalizzanti soprattutto per le lavoratrici madri e i lavoratori padri o per chi ha seri problemi di salute, magari causati proprio dal lavoro. 

 

Pensioni: aumentare gli importi, anticipare l’età, rivedere requisiti e flessibilità

 

Le pensioni in Italia sono da fame. Dicono che il sistema pensionistico italiano è insostenibile ma la tassazione dei profitti, delle enormi fortune, dovrebbe servire per garantire il ritorno di parte della ricchezza prodotta dai lavoratori e dalle lavoratrici a loro stessi, quando non hanno più capacità lavorativa, oppure quando raggiungono una determinata età o, se sono lavoratori e lavoratrici precoci, quando hanno già lavorato abbastanza. La vita non dovrebbe essere vissuta soltanto per il lavoro, tutti dovrebbero avere il diritto di godere la vita al di là del lavoro. In un’altra società in cui il profitto non sia il principale obiettivo, con giornate ridotte di lavoro e migliore qualità di vita, uno può anche scegliere di lavorare per più anni, ma in questa società, in cui il lavoro è un vero massacro e non un piacere, anticipare l’età pensionistica, stabilire criteri che valorizzano l’aspetto umano di un sistema pensionistico ed aumentare gli importi è necessario. Con 67 anni o distrutti dopo 42 anni di lavoro, guadagnando pensioni da fame nessun cittadino può godere veramente la vecchiaia in pace e tranquillità, la pensione invece di essere un premio per i “servizi” del lavoratore e della lavoratrice alla società è un inferno composto di preoccupazioni, malattie, lavoro in nero, ecc.

 

Part time: garantire a chi lo richiede di ottenerlo e, viceversa, garantire il full time a chi viene obbligato al tempo parziale.

Nella logica di garantire il sostegno economico di una famiglia, oppure più qualità di vita per quelli che possono permettersi di avere un contratto part-time, la possibilità di passare da una tipologia di contratto ad un’altra dovrebbe essere sempre aperta. Il problema è quando i contratti part-time, con gli orari sempre più spezzati, sono usati per garantire l’organizzazione del lavoro come vogliono le aziende, senza prendere in considerazione i bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici. Ci sono lavoratori e lavoratrici che hanno poche ore di lavoro, ma devono essere al lavoro praticamente per tutta la giornata perché il loro orario non gli permette di tornare a casa, pranzare, riposare o pagare una bolletta prima di fare l’altro pezzo del proprio orario giornaliero. Per garantire il profitto, i padroni possono sempre pregiudicare la vita dei lavoratori e delle lavoratrici, ma per risolvere i problemi dei lavoratori e delle lavoratrici si creano sempre ostacoli. 

 

Favorire la conciliazione dei tempi di vita e lavoro, attraverso turnistiche equilibrate e matrici fisse, flessibilità orario di entrata/uscita, no turni da 12 ore.

I lavoratori e le lavoratrici turnisti devono avere matrici che permettono loro di poter programmare la propria vita. Non si possono accettare le turnazioni che sono presentate un giorno prima di cominciare il mese e che cambiano quotidianamente secondo i bisogni aziendali. Anche noi lavoratori e lavoratrici abbiamo i nostri bisogni ed una vita al di là del lavoro. 

Altro problema è la cattiva organizzazione dei turni: non tutti i lavoratori e lavoratrici dovrebbero avere lo stesso orario soltanto perché c’è l’abitudine oraria nella maggioranza delle aziende. Tanti lavoratori e lavoratrici potrebbero avere orari alternativi di lavoro, che permetterebbero, tra l’altro, di diminuire il traffico nelle città, garantire mezzi meno affollati, ecc. 

Nella stessa logica di garantire la conciliazione del tempo di vita e lavoro e volendo sempre tutelare la salute dei lavoratori e delle lavoratrici, siamo contrari ai turni di 12 ore. L’apparente beneficio dei turni di 12 ore, che permettono di usufruire di più riposi, in realtà porta come conseguenze l’aumento delle malattie, l’aumento delle ore straordinarie quando si deve coprire il turno del collega mancante e quello che appariva come una possibilità alternativa di turno, in realtà si mostra come una fregatura. Non è soltanto la nostra opinione, sono diverse ricerche scientifiche che dimostrano quello che stiamo affermando. Consultando le pubblicazioni scientifiche e il contratto, analizziamo quali siano i vantaggi e per chi: diminuiscono gli organici nei reparti dove il turno di notte prevede meno personale, rimangono più ore con un minor organico, con evidente risparmio economico per le strutture e aumento dei carichi di lavoro per i lavoratori e le lavoratrici; diminuisce la retribuzione per effetto del minor numero di indennità notturne e festive; aumentano i rischi per la salute: burn out, disturbi del sonno, squilibrio ormonale e immunologico, psicologico, con scarsi processi cognitivi ed esaurimento emotivo, e sociale, maggior tasso di malattia, maggiore esposizione al rischio; aumentano gli errori di terapia, di corretta identificazione del paziente e aumenta l’insoddisfazione dei pazienti. Infine, segnaliamo che: in caso di malattia o assenza di un collega, si fa presto a passare dalle 36 alle 48 ore settimanali! In caso di malattia, si va sotto di ore (la giornata convenzionale rimane di 6 ore).

Sul tema della conciliazione tra il tempo di vita e lavoro riaffermiamo che siamo contrari ai turni spezzati, perché non permettono di per sé tempo di qualità per permettere questa conciliazione.

 

Riduzione orario con aumenti salariali.

Bandiera storica del movimento sindacale la riduzione dell’orario di lavoro con aumenti salariali: è il modo di diminuire lo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici e cambiare il rapporto di forza tra le classi sociali. Da una parte ci sono i padroni, che vogliono aumentare lo sfruttamento, l’orario di lavoro e pagare sempre di meno, d’altra parte i lavoratori e le lavoratrici che collettivamente possono mettere un freno agli obiettivi dei padroni. 

 

Più ferie e garantendo il recupero psicofisico al lavoratore e alla lavoratrice (possibilità di avere le ferie per lunghi periodi consecutivi e quando il lavoratore e la lavoratrice ne hanno bisogno).

I ritmi di lavoro aumentano sempre di più, non è solo aumentando l’orario di lavoro che il padrone sfrutta di più, ma soprattutto aumentando i ritmi di lavoro; 800 mila persone all’anno muoiono di eccesso di lavoro. Le ferie sono, pertanto, momento necessario per recuperare le energie psicofisiche dei lavoratori e delle lavoratrici. Ma le ferie spezzate dei diversi contratti nazionali e le poche ferie all’anno non permettono il vero recupero delle energie dei lavoratori e delle lavoratrici, ed il fatto che tanti contratti prevedono la possibilità del datore di lavoro di bloccare le ferie dei lavoratori e delle lavoratrici in situazioni emergenziali, che diventano quasi sempre situazioni quotidiane è qualcosa che dobbiamo combattere. La nostra posizione è quella di aumentare il periodo di ferie e le ferie in periodi consecutivi.

 

Eliminare il comporto di malattia. Malattia ed infortunio retribuiti al 100%.

Nessuno si ammala perché lo vuole. La maggioranza delle malattie è sviluppata a causa del lavoro e anche quelle malattie che hanno altre origini non dovrebbero essere motivo per licenziare nessuno. Le aziende oppure lo Stato devono prendersi cura del malato, garantire la sua tranquillità e la possibilità di tornare al lavoro quando si riprende. Penalizzare il lavoratore e la lavoratrice malati con la riduzione del loro stipendio è una pratica sadica che va combattuta. Se ci fossero condizioni dignitose di lavoro non ci sarebbero tante malattie, è sempre un problema di sistema alla fine.

 

Come rivendicare questi obiettivi?

 

Come sindacato di base, lottiamo per mantenere, garantire e conquistare più diritti. Ma non pensiamo che i diritti possano essere conquistati attraverso la delega a qualcuno che rappresenta i lavoratori. La storia dell’umanità sotto il sistema capitalistico ci mostra che soltanto la forza collettiva dei lavoratori organizzati è capace di imporre sia alle aziende che allo Stato la conquista, l’esigibilità e il mantenimento nel tempo dei diritti.

Le organizzazioni sindacali filopadronali vendono l’idea che il sindacato è un’azienda che offre servizi, tra cui quello di mediare la difesa dei diritti dei lavoratori. In questa logica, se un lavoratore o una lavoratrice hanno bisogno di far valere i propri diritti dovranno rivolgersi al sindacato, che, tramite una letterina o una telefonata, risolverà i problemi dei lavoratori. Poiché, in generale, il padrone non è disponibile a cedere senza nulla in cambio, questi sindacati “vendono” i diritti dei lavoratori, per poter avere delle agevolazioni per alcuni dei loro iscritti. Si tratta dunque di un sindacato clientelare.

Noi siamo diversi. Difendiamo i diritti dei lavoratori con i lavoratori, non a nome dei lavoratori, perché sappiamo che soltanto la forza collettiva organizzata delle lavoratrici e dei lavoratori è capace di garantire le reali conquiste. 

 

Di seguito, alcune forme di lotta che possiamo mettere in atto per conquistare i nostri diritti.

 

Sciopero

È la forma classica di lotta del movimento sindacale. Attraverso gli scioperi, i lavoratori e le lavoratrici hanno conquistato la maggior parte dei diritti attuali. La giornata di lavoro regolamentata, i diritti sulla salute e sicurezza, aumenti di stipendi, la riduzione dell’orario di lavoro, ecc. 

Non è un caso che lo Stato, a servizio dei datori di lavoro, approvi sempre di più leggi che restringono il diritto di sciopero. Nel nostro settore, la legge che regolamenta gli scioperi nei servizi essenziali è un grande impedimento alle mobilitazioni dei lavoratori. I freni che i padroni provano a mettere alle nostre mobilitazioni non devono farci abbandonare l’alternativa migliore; anzi, dobbiamo lottare per cambiare le leggi che restringono i nostri diritti e inventare nuovi modi per poter scioperare.

Gli scioperi bloccano la produzione della ricchezza e attaccano direttamente le tasche dei padroni; rappresentano l’unico linguaggio che i datori di lavoro sono in grado di comprendere: il danno economico.

Altre manifestazioni

Anche cortei, presidi e assemblee pubbliche senza dichiarazione di sciopero possono servirci in alcune occasioni. Quando non abbiamo abbastanza forza per mobilitare e convincere i lavoratori a scioperare, un presidio che espliciti i problemi di una determinata struttura può causare non un danno economico immediato al datore di lavoro, ma un danno economico secondario, attraverso, per esempio, il danno alla sua immagine. I presidi possono essere sostenuti anche da piccoli gruppi di delegati, che si muovono in solidarietà alle altre strutture. Possono prendere la forma anche del flash mob, per una maggiore risonanza mediatica.

Un corteo, invece, anche su un percorso concordato con le autorità, quando riesce a bloccare la circolazione sia delle merci che delle persone, causa un danno economico secondario non soltanto contro un datore di lavoro in particolare ma, a seconda delle sue dimensioni, anche contro una parte più grande di padroni.

Va invece sempre cercata l’alleanza e la solidarietà dell’utenza dei nostri luoghi di lavoro, considerata la particolarità di strutture sanitarie e sociosanitarie.

Ogni mobilitazione dovrà essere valorizzata attraverso comunicati stampa e diffusione dell’informativa sui contenuti della vertenza anche attraverso i social media.

 

Lavorare come si deve: lo sciopero bianco

Per paradossale che possa sembrare lavorare bene, che vuol dire lavorare con attenzione, senza fretta, seguendo tutte le procedure, causa un danno economico al datore di lavoro. I padroni sfruttano i lavoratori anche quando non permettono ai lavoratori di lavorare bene, quando fanno lavorare in fretta, senza attenzione, giusto per finire tutto il lavoro a loro assegnato, senza prendere in considerazione la qualità. Quando una lavoratrice o un lavoratore devono assistere 20 pazienti invece di 5, l’azienda risparmia sul costo della manodopera, il lavoratore si rompe la schiena, i pazienti non hanno l’attenzione che dovrebbero avere e solo il datore di lavoro ne beneficia. Se il lavoratore decide di lavorare in accordo con quello che prevedono le leggi, le norme sulla salute e sicurezza, ecc., non riuscirà a curare quei 20 pazienti, lavorerà bene, non si romperà la schiena, i pazienti curati saranno soddisfatti ed il datore di lavoro dovrà assumere più personale per poter offrire il servizio all’utenza. 

 

Vertenze legali

La via giuridica, anche quando i diritti sembrano chiaramente sanciti dalla legge, è sempre incerta, visto che il giudice può essere influenzato dalle pressioni esterne, dal potere economico o politico; ma questa via non può essere scartata a priori e va usata per garantire diritti già conquistati; ma anche per far conoscere il nostro sindacato ai lavoratori, visto che una causa bene impostata, che garantisca diritti ai lavoratori, è un ottimo biglietto da visita. Comunque, vale la pena sottolineare che la via giuridica non può mai essere la principale prassi di un sindacato, soprattutto del sindacato conflittuale com’è la Cub Sanità, che punta sulla organizzazione e mobilitazione dei lavoratori, anche per far avanzare i diritti, non ancora sanciti da leggi. 

 

Formazione e coinvolgimento

La formazione dei nostri iscritti deve essere elemento fondamentale del nostro sindacato. Siamo un sindacato di base e i nostri delegati e iscritti devono essere autonomi. Ma non soltanto autonomi, ma anche attivi, coinvolti nelle strutture del nostro sindacato. Solo un sindacato formato dalle lavoratrici e dai lavoratori, e non dagli operatori sindacali, ha la forza per cambiare l’attuale realtà dei lavoratori in Italia. Il lavoratore o la lavoratrice devono essere convinti che il sindacato non è un’agenzia che risolverà il suo problema particolare. Il sindacato è un organismo collettivo formato dai lavoratori per mantenere, garantire e conquistare diritti.

Il metodo dell’inchiesta tra i lavoratori rimane un valido strumento di presa di coscienza e coinvolgimento: non un sondaggio, ma un momento di rielaborazione ed autoanalisi delle proprie condizioni di lavoro e dei diritti necessari.

I volantinaggi, fatti di persona per poter interagire con i colleghi, e la diffusione della posizione della CUB sulle varie vertenze anche con affissione nelle bacheche e comunicazioni via email sono prassi classiche ma da perpetrare ancora oggi.

 

Elezione di RLS, RSU e RSA

Dove i rapporti di forza ce lo permettono, occorre far eleggere RLS (Rappresentanti dei lavoratori per la Sicurezza), delegati CUB in RSU (rappresentanza sindacale unitaria) purché fuori dalle regole antidemocratiche dell’accordo del 10 gennaio 2014 o RSA (rappresentanze sindacali aziendali) come previsto dalla Legge 300 del 1970 – Statuto dei lavoratori. I permessi sindacali e RLS saranno un utile strumento per organizzare i lavoratori, purché vengano utilizzati con grande rigore etico.

I delegati e gli RLS dovranno essere formati e messi in grado di sostenere una trattativa, una vertenza collettiva o individuale, una contestazione disciplinare, senza che un funzionario, estraneo al contesto lavorativo, si sostituisca a loro: potrà supportare i rappresentanti meno esperti, soprattutto in contesti in cui non hanno esperienza.

 

Direzione dei lavoratori e rinnovamento degli organismi

Spesso i sindacati diventano elemento di potere e questa logica va combattuta. Per cui, secondo noi, per essere eletti negli organismi sindacali, il lavoratore o la lavoratrice devono essere della categoria o almeno l’80% della composizione degli organismi deve appartenere o provenire dalla categoria. In caso di distacco, sarebbe ideale che fosse part time, per non perdere il contatto diretto con i lavoratori e le lavoratrici. Deve esserci la rotazione dei lavoratori negli organismi direttivi – non più di due mandati consecutivi – e, per ultimo, i lavoratori pensionati e vicino alla pensione possono collaborare col sindacato, ma non possono essere i responsabili politici del sindacato. Si deve garantire il rinnovamento e stimolare la partecipazione dei lavoratori in forza, negli organismi del nostro sindacato.

 

Uno sguardo ampio: confederale e internazionale

La CUB Sanità dovrà sempre confrontarsi con i lavoratori delle altre categorie, perché alcuni temi sconfinano e sono trasversali e perché la solidarietà tra i lavoratori è indispensabile per praticare il conflitto.

Inoltre, il confronto con i lavoratori di altri Paesi è sempre utile a comprendere le dinamiche che il padronato mette in atto spesso con grandi similitudini anche in luoghi molto distanti e in contesti sociali apparentemente differenti.

La solidarietà internazionale deve unire le rivendicazioni e le lotte laddove è interesse del capitale aprire contraddizioni e creare competizione tra lavoratori di diverse aree geografiche.

 

Note finali

Diverse altre forme di lotta possono essere discusse nelle nostre riunioni, congressi, coordinamenti ecc.

Anche un’approfondita analisi del contesto e temi di carattere generale, quali la posizione sulla guerra, sull’agenda climatica, sulla necessità di difendere il diritto alla casa, alla scuola pubblica e ai servizi pubblici, ecc. vengono rimandati alla discussione che investirà il congresso confederale.