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CRISI ECONOMICA, DEBITO E FINANZA: QUALI PROSPETTIVE ATTENDONO IL MONDO DEL LAVORO?

INTERVIENE PROF. FRANCESCO SCHETTINO - 20/05/2021

INTRODUZIONE:

Buona sera a tutti i nostri ascoltatori e benvenuti a questo terzo appuntamento del nostro ciclo di seminari su crisi epidemica e crisi economica. Prima di presentare gli argomenti che saranno al centro della nostra discussione odierna, vorrei provare a ricapitolare i punti principali emersi dai due appuntamenti precedenti, che si possono trovare sui canali web della confederazione, in modo da esplicitare i nessi logici che stanno orientando il nostro lavoro di approfondimento. Nel primo incontro, con Joseph Halevi, si è messo in risalto la ripresa della concorrenza a livello internazionale che vede contrapporsi principalmente Stati Uniti e Cina. All’interno di questo scontro politico, economico e tecnologico, i governi di ogni singola nazione, in particolar modo quelli europei hanno di volta in volta preso posizione a favore di uno dei contendenti in lotta. Solamente prendendo atto di questo contesto internazionale, si capiscono i motivi che hanno costretto il neo-eletto presidente statunitense Joe Biden a varare un maxi piano di investimenti pubblici del valore di circa 2 mila miliardi di dollari. Ovviamente, anche in questo caso, si può facilmente osservare come la crescita dell’instabilità sociale all’interno di quel Paese, percorso ormai giornalmente da proteste popolari di vario segno, rischi di saldarsi con un declino sul piano internazionale generando una dinamica esplosiva per gli equilibri mondiali. All’interno di queste vicende, il ruolo italiano risulta essere sempre più marginale dal momento che non paiono sorgere possibili impulsi per rompere quel rapporto di subordinazione economica che ha visto l’industria italiana collocarsi, sempre di più, in una posizione di sub-fornitura in catene produttive principalmente a guida tedesca. Da questo punto di vista, il progressivo smantellamento del Nuovo Pignone pare certificare questo esito meglio di mille parole.

Venendo ora al contributo di Gabriele Pastrello, l’elemento su cui focalizzare la nostra attenzione è il “colpo mortale” inferto dal Brexit al piano “imperiale” europeo per il quale la piazza finanziaria di Londra avrebbe dovuto associarsi idealmente al cuore produttivo tedesco, contornato dalla cintura di paesi satelliti. L’esito del referendum, favorevole all’uscita, è stato il detonatore di una più ampia crisi di legittimità del progetto di unificazione europea che, alimentato dalla caduta di consensi determinato dalle politiche di austerità, ha rischiato di travolgere gli equilibri politici consolidati nel nostro continente. Anche per far fronte a questa crisi si è varato il progetto denominato “Next Geration EU” che stanzia 750 mld di euro  (circa 200 dei quali dovrebbero andare al nostro Paese) con l’obiettivo, sempre secondo Gabriele Pastrello, di riconquistare il consenso di quelle fasce popolari che, in particolar modo in Italia e Spagna, negli ultimi anni avevano mostrato segnali di crescente insoddisfazione. La svolta economica espansiva è quindi una scelta obbligata che certamente non segna un cambio di direzione nel perseguimento di specifici interessi politici e di classe da parte di chi governa l’UE ma che apre, anche sul terreno nazionale, uno spazio di manovra per le organizzazioni conflittuali che sono chiamate ad agire per orientare i flussi di spesa a favore delle classi subalterne. La nostra organizzazione dovrà quindi adeguare, quanto prima, i suoi programmi e le sue azioni di lotta alla nuova situazione post-pandemica se vorrà continuare a giocare un ruolo efficace. Tanto per fare un esempio, proprio a fronte di questa “pioggia di miliardi” pensiamo che non sia più rimandabile l’azione per una revisione complessiva del sistema fiscale per far sì che il peso del crescente indebitamento pubblico non venga scaricato, come al solito, sulle spalle dei lavoratori e dei pensionati. Per rendersi conto dei rischi cui ci troviamo di fronte basta dire che il rapporto debito/Pil toccherà, secondo recenti stime, il 160%a fine 2021 (a prescindere dal fatto che i parametri di Maastricht verranno o meno modificati, come chiede Mario Draghi o Christine Lagarde, una volta passati gli effetti più pesanti della pandemia e della crisi economica in corso).

Fatte queste premesse, vengo ora a presentare il nostro relatore di oggi che è Francesco Schettino, docente di Economia Politica ed Economia Internazionale presso l’Università della Campania. Egli è autore di numerose pubblicazioni sia in lingua inglese che in italiano. Per gli argomenti trattati oggi è sicuramente opportuno rimandare al suo testo, pubblicato nel 2020 dalla Città del Sole e scritto con Fabio Clementi, dal titolo “Crisi, disuguaglianze e povertà. Le iniquità del capitalismo, da Lehman Brothers al Covid-19”. La scelta di chiedere un contributo a Francesco si inserisce pienamente, a nostro modo di vedere, nelle direttrici analitiche che ho cercato di esporre. Infatti, quello a cui noi stiamo assistendo, almeno dal varo del “Quantitative Easing”, è una inondazione di denaro sui mercati a tassi di interesse bassissimi a cui, però, non ha fatto seguito una decisa ripresa economica. Questa apparente contraddizione, si può agevolmente spiegare con il fatto che queste iniezioni di credito, pur di entità stratosferiche, non possono superare i problemi di valorizzazione del capitale sul terreno della produzione. Solamente prendendo atto di questo legame, possiamo capire come mai a bassi tassi di crescita economica corrispondano abnormi quantità di denaro mosse nella sfera finanziaria. Vi è, a questo proposito, un aspetto particolarmente preoccupante da segnalare ossia che il capitale finanziario, che lega indissolubilmente banca ed industria, è quello socialmente più distruttivo, perché comprime la logica di accumulazione del capitale ad una dimensione di breve se non di brevissimo periodo. In questo senso, anche tutti i “lacci e lacciuoli” della democrazia formale rischiano di diventare, per questa forma di capitale, degli impedimenti eccessivi che devono essere scavalcati se non rimossi (questo aspetto può contribuire a spiegare l’elevazione al potere di personaggi come Trump o Bolsonaro). Contro questa situazione, ha impattato la crisi pandemica che, sempre di più, appare nella testa delle classi dominanti di tutto il mondo come la grande occasione per rilanciare un piano di ri-ammordernamento capitalistico dell’economia mondiale, preservando comunque una posizione di forza contro il mondo del lavoro e le classi subalterne. Quindi, nella sostanza, le questioni che vogliamo porre al nostro interlocutore sono essenzialmente tre: – in primo luogo, Francesco, ti chiediamo cosa puoi dirci della fase attuale e della dinamica che, da oltre un quarantennio, lega la crescita del capitale finanziario alle ricorrenti crisi economiche che hanno investito l’economia mondiale; – in secondo luogo, vorremmo sapere quali sono le tue valutazioni rispetto alla situazione europea perché, a nostro avviso, il varo, da un lato, del “Next Generation” e la sospensione temporanea, dall’altro, dei vincoli di bilancio apre per noi uno spazio di azione diverso da quello di qualche anno fa (stante poi il problema del chi pagherà la mole di debito futuro che si andrà ad aggiungere a quello già esistente); infine, ci piacerebbe sapere quali sono le tue previsioni sulle conseguenze che colpiranno il mondo del lavoro e contro le quali noi, come organizzazione sindacale, dovremmo sicuramente combattere. Oltre a me, Fabio Scolari, a sollecitare il nostro relatore ci saranno oggi anche Natale Alfonso della Segreteria Nazionale della CUB, Dionisio Masella del Centro Studi della CUB, Renato Strumia della Sallca-CUB e Gessica Maulà, giovane operaia della FCA di Melfi e co-organizzatrice del presidio tenutosi il sabato mattina scorso davanti a cancelli della fabbrica. Detto questo, non voglio rubare altro tempo e lascio la parola a Francesco.